ieri leggevo su femminismo a sud una lettera dedicata al razzismo di quartiere, che tocca il tema del difficile rapporto con quegli amici o conoscenti che esprimono posizioni di intolleranza o idee politiche in contrasto con le nostre /
di questi tempi mi capita spesso e non unicamente in merito al razzismo – forse mi cava dall’impiccio il solo fatto di non intrattenere ultimamente relazioni significative con chicchessia e dunque potermi concedere il lusso codardo dell’isolamento e della defezione silenziosa

ma ho inteso ugualmente la sgradevole sensazione di osservare i nodi impresvisti e insospettabili che vengono al pettine – e per nodi intendo il passaggio a un livello successivo di conoscenza del prossimo conseguente alla propria esposizione, alla compromissione personale anche minima, come nel caso di offrire degli spiccioli con cortesia e com-passione a un immigrato che chiede la carità in un bar
quando succedono queste cose cambia il paesaggio, cambia la valenza dei luoghi e il nostro senso riconoscimento e di rispecchiamento nell’altro quotidiano va in crisi – è una brutta sensazione, scoraggiante /
bisognerebbe però, e questo è un punto della faccenda che rimane spesso inevaso, non trarre le conclusioni troppo in fretta, quanto meno non definire il prossimo da un unico episodio, perché la realtà umana mi pare ben più intricata
tanti anni fa gli special aka avrebbero affermato sbrigativamente if you have a racist friend now is the time for your friendship to end
oggi la faccenda si è fatta più delicata e complessa qui da noi che siamo un paese poco avvezzo ai rapporti con il diverso / infatti, pur avendo una storia carica di contaminazioni e contatti con lo straniero siamo proprio un triste paese con scarsa memoria, che rimuove in fretta tutto ciò che può andare a intaccare anche minimamente le comodità individuali – un paese di insicuri che da anni chiudono la porta di casa a doppia mandata – non ci sono quasi più sedie fuori dalla porta, nemmeno nei paesi, perché ognuno guarda la televisione per conto suo, al sicuro dentro casa

proprio per questa ragione ritengo che in simili casi operare ulteriori rotture sia di scarsa utilità – mi trovo a disagio e perplessa di fronte alle posizioni estreme (anche e soprattutto la mia, quando capita) e una voce interna mi dice che sarebbe meglio parlare, beneficiare fino in fondo dell’occasione preziosa rappresentata dall’amicizia o dalla vicinanza, vivere il proprio quartiere come fosse una casa e parlare, scambiare le idee, confonderle e difenderle – non credo che esista altro modo, rispetto al contesto descritto nella lettera / davvero difficile trovare altra via per la costruzione – ma sono certa che la rottura intransigente andrebbe a generare ulteriori barriere, ulteriori solitudini

per esempio, pensare che anche i vecchi sono persone che vengono discriminate ogni giorno e capire le loro fragilità e le loro idosincrasie significa provare a comprendere e rispettare le delicate questioni di entrambe le parti in causa (o delle tante parti in causa) – ho visto spesso la diffidenza sciogliersi là dove la conoscenza reciproca ha permesso di dissolvere le nebbie dell’ignoranza
grazie al cielo, e voglio crederci, nel rapporto diretto capita anche che le persone siano ancora e solo persone, e che sia possibile dimenticare le brutalità ideologiche di ogni sorta
da questo mi pare dunque si pdovrebbe partire, da un piccolo bar di quartiere o dalla propria piazza, dal salotto con le amiche o dai banchi di scuola – con pazienza (…molta pazienza!)

tu_dove_vivi? a_Portogruaro____quando_ho_un_lavoro.
e_tu_hai_un_lavoro?____________________________
Poi_hanno_ripreso_la_loro_lingua_lontana.

dal blog di solo_in_linea