monthly archives: febbraio 2010

rifondazione

molti oggi parlano di questo nuovo manifesto di rifondazione e i toni del dibattito sono i più disparati / per quanto mi riguarda, un po’ come per tutto il resto in quest’ultimo periodo, le mie reazioni in merito sono complesse, confuse e sottocutanee /
certo, non si può dire che sia un bel manifesto e nemmeno che restituisca un’immagine interessante della donna comunista / sembrerebbe piuttosto che la sinistra radicale abbia ceduto, si sia piegata ad una logica comunicativa più ordinaria e scontata, che mira al grande pubblico televisivo e commerciale / e proprio per questa ragione, quando ho visto il manifesto non ho provato rabbia o fastidio, ma una specie di angoscia silenziosa, un triste dispiacere, la sensazione dolorosa di un partito brancolante che non sa più quali pesci pigliare per resistere sulla cresta dell’onda, per non scomparire nell’invisibilità /

ecco – c’è della disperazione autentica in quell’immagine, il senso di essere arrivati alla frutta, di non saper trovare più nemmeno le intelligenze necessarie a costruire una buona campagna pubblicitaria /
si capisce bene che l’ignoranza sta arrivando a tarpare le ali della politica in vari modi e là dove un tempo (pensiamo agli anni 60) ci sarebbero state fior fior di intelligenze a disposizione per inventare slogan e apparati comunicativi (ci ricordiamo quanto erano efficaci e convincenti le grafiche italiane in quel periodo storico?), ora troviamo un branco di politici disorientati che non sanno scegliere e che forse nemmeno consultano le donne, prima di dare alle stampe una campagna tanto azzardata e di dubbio gusto /

vorrei ricollegare questo episodio alla mia recente esperienza con la sinistra locale in merito alla progettazione di un logo per le scorse elezioni comunali: in quell’occasione l’arroganza dei dirigenti (o presunzione, o qualche loro limite della visione, chissà?) prevalse sul dialogo e sulla collaborazione con il professionista incaricato (me), conducendo ad un risultato grafico mediocre e poco convincente / mi ero offerta volentieri di svolgere il lavoro e senza retribuzione, ma di fatto i dirigenti non cercavano altro che un mero esecutore di qualcosa che loro ritenevano essere già deciso e definito /
in tale occasione mi resi conto in prima persona di come sia cambiato il ruolo dei professionisti rispetto alla committenza (anche e forse soprattutto a sinistra) – quasi che il nostro presente in cui tutti scattano fotografie e tengono un blog autorizzi un cliente a un’espressione arrogante e soverchia del proprio gusto personale, dimenticando che in tutte le discipline sono necessari talento, studio ed esperienza per forgiare un buon professionista / questo può essere lecito nella scelta di un privato cittadino ma si trasforma in un danno nel caso di una questione collettiva, dove andrebbe cosiderato primario l’obiettivo di perseguire l’eccellenza, nella più piena considerazione della comunità di riferimento /

perciò i miei pensieri in merito al diavolo veste rifondazione sono stratificati e forse leggermente traslati rispetto alla bagarre in corso: mi interesserebbe di più mettere a fuoco una critica alle radici, che incaponirmi contro una singola defaillance, e mandare un messaggio ai vari organi di partito riguardo al fatto che quello che spaventa di più non è tanto la bruttezza del manifesto, ma tutte le sottili quanto emblematiche forme di ignoranza, clientelismo e prevaricazione che ci sono dietro e che sottendono un gran vuoto /
se i nostri politici non sanno essere umili nelle piccole cose, come possiamo sperare che lo siano là dove la posta in gioco è una poltrona e la conservazione del potere personale?
un tempo la chiamavano sinistra, ora stento a riconoscerla

anni fa proposi agli organizzatori di un festival locale di arte contemporanea un piccolo progetto /
si trattava di raccogliere in una scatola alcuni capelli dei visitatori (consenzienti) e piccoli frammenti prelevati dal loro vestiario (fili, bottoni, etichette, passanti, lacci di scarpa) annotando per ciascuno su un quaderno il nome di battesimo e l’anno di nascita /
avrei ricamato in diretta un lenzuolo bianco utilizzando i fili e capelli raccolti, realizzando un panno della memoria legato a quell’evento specifico / niente di trascendentale – niente a che fare necessariamente o solo con la bellezza – piuttosto con il passaggio, la presenza e la permanenza /
il progetto fu rifiutato / ma mi è tornato in mente un paio di giorni fa leggendo su alias l’articolo dedicato al nuovo progetto di boltanski per monumenta

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personnes / monumenta 2010
il battito cardiaco di migliaia di persone (registrato e conservato per i posteri in una specie di reliquiario in un’isola del pacifico) viene diffuso nello spazio del gran palais riempito di vecchi abiti ordinatamente composti sul pavimento all’interno di spazi quadrati, mentre una gru continua incessantemente a rimescolare, pescando da una montagna formata da diverse tonnellate di altri vestiti ammontonati

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a proposito di heartbeat /
per la biennale veneziana del 2007 rafael lozano-hemmer, artista messicano, realizzò un’installazione in cui il battito del cuore dei visitatori modificava il ritmo intermittente di una serie di lampadine appese al soffitto di una stanza buia

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+

(anche)
ho fotografato l’età dell’innocenza
l’ho osservata camminare sul margine

ma le immagini migliori rimangono quelle non scattate /
a volte le trascrivo sul diario, per non dimenticare

poi c’era vento
c’è quasi sempre vento
scompiglia gli oggetti o i loro angoli
proprio quando sto per decidermi

il vaso si rompe in frantumi
altro esce

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  1. scuola
  2. strada
  3. paul eluard
  4. andrea di consoli (qui)

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ne scrivono da varie parti, con rammarico e dispiacere
ed invece qui – niente
niente / nonostante il talento, le sue deliranti divagazioni e le strutture che con il corpo intrattenevano sempre relazioni inedite ed ambigue (si è trattato dell’abito e della sua negazione, dissoluzione dell’idea di moda in pura visione, comunque sia inequivocabilmente commerciale) / un grande talento dunque, ma come scrivevo poco fa in un commento, sostanzialmente irrilevante e carico di anacronismi

c’è bisogno di questo? oppure il genio consiste nell’operare una rivoluzione che conduca ad altri livelli di conoscenza e soprattutto di consapevolezza?
lo smarrimento creativo dovrebbe piuttosto coinvolgere altri ambiti, provocare cedimenti nelle strutture culturali e far vacillare un sistema di cose ormai fondato unicamente sulla circolazione del denaro e sulla consuzione continua che si rigenera e si distrugge in un processo visionario quanto sterile

questa visione individuale così ben interpretata da mcqueen non ha caso si conclude con una morte altrettanto individuale, che nulla spartisce con il mondo e che nulla di sostanziale cambia del mondo e delle sue verità urgenti
pare non si avverta quasi più la necessità di una relazione intima con il vero ma si abbia invece un bisogno continuo di fagocitare cambiamenti che coinvolgono il piano puro e incontaminato della visione spettacolare
questa concezione del bello quasi rinascimentale si rivela anacronistica e separata in un mondo che del rinascimento non conserva altro che un vago ricordo, probabilmente finanziario / rimane appannaggio di persone che vivono e proliferano all’interno di circuiti specifici, moda arte spettacolo, e che non operano alcuna forma di contaminazione o compromesso in grado di corrodere le certezze formali dei vari prodotti
la vanitas contemporanea è dunque spogliata della necessità di realizzarsi attraverso la concinnitas (intesa come conciliazione degli opposti, completezza, equilibrio tra le parti, ma anche dialogo con il contesto)
tutto rimane immaturamente sospeso in un limbo dove anche l’abito è spesso immateriale, appena intravisto, o si rivela nel paradosso delle forme, nella negazione crudele delle funzioni, come si vuole all’apice del lusso

allora lo dico, qui adesso oggi – la parola lusso mi disgusta

ieri leggevo su femminismo a sud una lettera dedicata al razzismo di quartiere, che tocca il tema del difficile rapporto con quegli amici o conoscenti che esprimono posizioni di intolleranza o idee politiche in contrasto con le nostre /
di questi tempi mi capita spesso e non unicamente in merito al razzismo – forse mi cava dall’impiccio il solo fatto di non intrattenere ultimamente relazioni significative con chicchessia e dunque potermi concedere il lusso codardo dell’isolamento e della defezione silenziosa

ma ho inteso ugualmente la sgradevole sensazione di osservare i nodi impresvisti e insospettabili che vengono al pettine – e per nodi intendo il passaggio a un livello successivo di conoscenza del prossimo conseguente alla propria esposizione, alla compromissione personale anche minima, come nel caso di offrire degli spiccioli con cortesia e com-passione a un immigrato che chiede la carità in un bar
quando succedono queste cose cambia il paesaggio, cambia la valenza dei luoghi e il nostro senso riconoscimento e di rispecchiamento nell’altro quotidiano va in crisi – è una brutta sensazione, scoraggiante /
bisognerebbe però, e questo è un punto della faccenda che rimane spesso inevaso, non trarre le conclusioni troppo in fretta, quanto meno non definire il prossimo da un unico episodio, perché la realtà umana mi pare ben più intricata
tanti anni fa gli special aka avrebbero affermato sbrigativamente if you have a racist friend now is the time for your friendship to end
oggi la faccenda si è fatta più delicata e complessa qui da noi che siamo un paese poco avvezzo ai rapporti con il diverso / infatti, pur avendo una storia carica di contaminazioni e contatti con lo straniero siamo proprio un triste paese con scarsa memoria, che rimuove in fretta tutto ciò che può andare a intaccare anche minimamente le comodità individuali – un paese di insicuri che da anni chiudono la porta di casa a doppia mandata – non ci sono quasi più sedie fuori dalla porta, nemmeno nei paesi, perché ognuno guarda la televisione per conto suo, al sicuro dentro casa

proprio per questa ragione ritengo che in simili casi operare ulteriori rotture sia di scarsa utilità – mi trovo a disagio e perplessa di fronte alle posizioni estreme (anche e soprattutto la mia, quando capita) e una voce interna mi dice che sarebbe meglio parlare, beneficiare fino in fondo dell’occasione preziosa rappresentata dall’amicizia o dalla vicinanza, vivere il proprio quartiere come fosse una casa e parlare, scambiare le idee, confonderle e difenderle – non credo che esista altro modo, rispetto al contesto descritto nella lettera / davvero difficile trovare altra via per la costruzione – ma sono certa che la rottura intransigente andrebbe a generare ulteriori barriere, ulteriori solitudini

per esempio, pensare che anche i vecchi sono persone che vengono discriminate ogni giorno e capire le loro fragilità e le loro idosincrasie significa provare a comprendere e rispettare le delicate questioni di entrambe le parti in causa (o delle tante parti in causa) – ho visto spesso la diffidenza sciogliersi là dove la conoscenza reciproca ha permesso di dissolvere le nebbie dell’ignoranza
grazie al cielo, e voglio crederci, nel rapporto diretto capita anche che le persone siano ancora e solo persone, e che sia possibile dimenticare le brutalità ideologiche di ogni sorta
da questo mi pare dunque si pdovrebbe partire, da un piccolo bar di quartiere o dalla propria piazza, dal salotto con le amiche o dai banchi di scuola – con pazienza (…molta pazienza!)

tu_dove_vivi? a_Portogruaro____quando_ho_un_lavoro.
e_tu_hai_un_lavoro?____________________________
Poi_hanno_ripreso_la_loro_lingua_lontana.

dal blog di solo_in_linea