I

scrivere in terza persona conferiva un’aura romanzata al racconto e rappresentava una degenerazione narcisa, una debolezza che non la portava oltre e che anzi la infangava ancor più nei suoi vizi personali

II

il computer si era rotto
al pensiero di questo guaio non provava l’apprensione di un tempo e rimaneva passiva, seduta di fronte al vecchio portatile in balìa di una misera stecca di ram ormai fuori produzione – la macchina vetusta ignorava la parola gigabyte, era provvista dei requisiti minimi di sopravvivenza e le consentiva di rimanere in contatto con il mondo quel tanto che bastava, scaricare i messaggi e leggere i commenti recenti sulle sue pagine

pensava ai file, alle parole ed ai lavori digitali, alle musiche – i materiali del suo quotidiano abbandonati a se stessi su un disco attualmente inutilizzabile e che forse non avrebbe più ripreso a funzionare

III

aveva freddo e sonno e si sentiva sola
immaginava la città fuori come una steppa desolata immersa nel buio, dove si incrociavano solo poche vite, di tanto in tanto – sporadiche presenze con cui era possibile una minima interazione, un respiro vagamente condiviso
la maggior parte delle persone facevano per lei parte del paesaggio inanimato, anche se tale considerazione dell’esterno non implicava una scarsa considerazione delle loro qualità, solo una totale estraneità al suo mondo, una incompatibilità radicale con la sua visione esistenziale

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