monthly archives: febbraio 2011

in questi giorni sto ascoltando un paio di uscite musicali recenti
l’ultimo di ribot (silent movies) e saturn singsdel mary halvorson quintetdi averli visti suonare insieme (lui e lei) mi ero dimenticata fino a che non ho sbirciato la fotografia della halvorson, perché questa ragazza prodigio altri non è se non la seconda chitarra nel quartetto che ha portato a udine l’ottima riedizione di sun shipcurata appunto da marc ribotquesti due dischi sono piuttosto diversi: l’eclettico chitarrista ex lounge lizards (conosciuto tra le altre cose anche per le numerose collaborazioni con john zorn) qui si presenta come elegante solista (vagamente antologico), mentre l’enfant prodige occhialuta della chitarra d’avanguardia (con quell’aria tutta sua da prima della classe) si cimenta in un lavoro sperimentale che rieccheggia con molto stile le atmosfere di coltrane e sun ra, ma anche bill dixon (r.i.p) e mazurek dopo di lui

eppure questi due lavori apparentemente distanti hanno un ritmo affine, una spina dorsale su cui poggiano strutture musicali affatto incompatibili – entrambi compatti ma al contempo variegati, eleganti, coerenti e di ottima misura – estremamente riconoscibile ribot, correttamente alla ricerca di un orizzonte silistico più evidente la halvorson, che qui riesce a superare un minimo disordine improvvisativo ancora presente nelle prove precedenti

  1. marc ribot  – delancey waltz
  2. mary halvorson quintet – right size too little

qui una recensione più seria di saturn sings

sono musiche che mi salvano dalla defaillance del gusto personale, solo apparentemente stemperato-si in quello di altri, ma che in realtà sperimenta la condivisione per un particolare gioco di coincidenze del tutto accidentale
niente di meglio che scegliere senza sapere di farlo, e poi riconoscere i parametri familiari di quello che avevamo già apprezzato e preferito in differenti circostanze
ribadire se stessi senza premeditazione …



fermate – tra un autobus e il successivo

.
dentro l’autobus,  passo da una luce a un’altra

(per dono tuo io passo dalla luce alla luce
per mia volontà passo dalla tua luce ad un’altra –
più calma)

.



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sto lavorando intensamente a una commessa urgente
ma di tanto in tanto mi concedo una pausa in cucina
utile anche a neutralizzare i cattivi pensieri …

questa settimana al posto del pane si mangia schiacciata integrale
i biscotti invece sono paste di meliga guarnite con nocciole nostrane
(la ricetta in fondo al post)

+
immancabile: il tè delle cinque

.




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da tanto intendevo acquistare un testo introduttivo sul jazz
questo della penguin books è un prontuario piuttosto completo

consegna amazon puntuale e merce ben imballata
ottimo servizio


I

le bugie che (ci) raccontiamo
all I want to do is see you smile
frasi che suonano deliziosamente ma che non corrispondono a nessun tipo di verita’
piuttosto proiezioni di un universo parallelo
ciò che non siamo nè vogliamo e che impunemente dichiariamo

espressioni del fallimento

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II

non appartenere

nessun circolo
nessuna comunita’
nessun partito

essere privi di passioni / condivise

III

– il margine oltre il quale anche il decoro si sfilaccia
come quel maglione con i buchi

(la lingua si deforma, asservita allo smarrimento)

§

di passaggio
come un treno alla stazione
o come un lampo

solo apparentemente seduto – invece eri già fuori
correvi (disperato) dentro i margini del tuo diluvio
dentro il prolasso macabro e maleodorante delle giornate



IV

qualcuno non viene più a visitarti
devono lavorare
ci sono interi scenari merceologici da allestire
non hanno (più) tempo per le confidenze sussurrate
e non commercializzabili

la radio pronuncia le stesse parole proprio mentre le scrivi
parlano di scene remote, preistoriche – senza vetrine

sollevata all’idea che non sono una vetrinista
ma forse sono in vetrina – senza saperlo

.

un viaggio scorrevole e senza colori in mezzo al nulla

è stata una visita veloce, isterica, non ho fatto che camminare
anche la focaccia di verrazzano l’ho consumata a spizzichi, mentre camminavo,  e da paszkovsky giusto il tempo di bere un caffè – speravo, ma non c’era il tuo fantasma, non c’era niente – solo i giapponesi seduti fuori in prima fila e i fiorentini che ordinavano il risotto da mangiare in piedi

al posto del gambrinus ci faranno un hard rock cafe, niente più biliardo – forse hai fatto bene ad andartene, il mondo diventa sempre più brutto e non c’è spazio per la poesia – le istituzioni massacrano con metodo i luoghi del ricordo, cinicamente – colano cemento ovunque sia possibile

nel frattempo ti ricordano tutti, in radio (anche battiti, qui), sui giornali e nel web / a san marco la chiesa era gremita di gente
ho continuato a chiedermi cosa ci facessi tu, fermo dentro una bara coperta di fiori, ma niente

ps/
ai funerali non ci vado proprio mai ed è per te che ho fatto questa unica eccezione – avevo bisogno di starti vicino ancora un poco, prima di

.

al rientro, le stoviglie di sempre
(sempre, che parola inverosimile) – ciao






nota/ la foto del funerale l’ho presa dalla rete