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Come Dio vuole, una pausa nella sfilata, e ci muoviamo. Arriviamo in un bel campo di grano dietro una cascina, davanti alla quale passa la strada, di nuovo ingombra d’interminabili carriaggi. Sarebbe l’ultimo ostacolo, ma sembra invalicabile. Non c’è piú una sosta nella sfilata incessante, e anche tra battaglione e battaglione sentinelle perlustrano la strada.
Intanto cade la notte. Per il momento sulla strada non c’è nessuno, ma in distanza si sentono macchine, voci, stridere di carriaggi. Pure bisogna approfittare: o si passa adesso, o mai piú, di quest’oggi. Cauta marcia d’avvicinamento, scaglionati a distanza, gli occhi fissi nel buio a scrutare se il primo estrae il malaugurato fazzoletto bianco, segnale di pericolo in vista, poi il balzo finale. Salto del fossatello, via oltre la strada di corsa: è fatta! Siamo a casa.
Un’altra cascina: ci aprono, esterrefatti di vedere dei partigiani alle spalle, anzi, frammisti alle ultime colonne della ritirata tedesca. Ci dànno da bere, ci mettono sulla strada, e mezz’ora dopo i compagni del posto di blocco di Lucento ci festeggiano con la piú calda e fraterna accoglienza. Ci buttiamo sui giornali. Ci siamo, è finita: il fascismo è morto, il nazismo è morto, lo scopo di quindici anni di lotta, d’ostinazione e di sacrificio è raggiunto. Torino libera e illuminata ci attende.

4 maggio I945.

MASSIMO MILA – scritti civili