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LA CULTURA DELLA PROTESTA

19.01.2006 – Sofia
Due operaie sono morte in un mese in una fabbrica italiana di scarpe a Dupnitza. L’ispettorato del lavoro ha minacciato seri controlli sulle condizioni di lavoro nell’azienda. Ecco due frasi che per il lettore medio bulgaro suonano banali piuttosto che scandalistiche. Siamo abituati che le istituzioni e gli organi di controllo dello Stato intervengano sempre post mortem. Come se solo la morte fosse in grado di accendere la lampadina rossa nell’istituzione competente e di provocare una certa sollecitudine degli enti di controllo. Una simile mentalità condanna in questo caso l’ispettorato del lavoro di comportarsi come un carro funebre oppure come pronto soccorso fatalmente in ritardo, che arriva solo per accertare la morte del paziente.

Detto semplicemente, non è più facile e più normale che gli organi ispettivi facciano controlli seri nelle aziende quando i dipendenti sono ancora in vita? E’ un segreto di Pulcinella che in centinaia di aziende di scarpe e di abbigliamento, disperse nelle regioni di frontiera del paese, spesso a capitale straniero, le condizioni di lavoro non rispondono a nessuna legislazione sul lavoro. Si parla di orari di lavoro di 12, 14 o 16 ore, emissioni nocive, stipendi bassi. Si ammette che molti proprietari di simili aziende si sono comperati il diritto di non subire dei controlli.

Il problema però ha anche un’altra faccia. E in certo senso è la faccia più scura per la società. Nessuno o quasi nessuno dei lavoratori che si trovano in queste condizioni osa lamentarsi, protestare, segnalare agli organi oppure fare causa al datore di lavoro. La regola non scritta è che ogni malcontento viene pagato con la perdita del lavoro. E proprio in queste regioni, dove abbondano simili aziende, la disoccupazione è massacrante. Conosco una donna anziana dalla provincia che lavora in una stireria con una paga giornaliera di 1 (un) leva (cioè 0,50 euro circa). Ma è grata che ha un lavoro.

Vorrei scrivere che ci manca la cultura della protesta, ma prima di tutto dobbiamo ammettere che ci manca la procedura della protesta, provata e funzionante. Chi tra i lavoratori in queste condizioni può essere sicuro che la sua denuncia verrà analizzata in fretta, in maniera giusta e senza pesanti conseguenze per se stesso.

Un po’ di tempo fa un mio amico di è trovato in un negozio di abbigliamento particolarmente a buon mercato a Newcastle. Ha comprato vestiti al “chilogrammo”. Tornando a casa dalla famiglia di inglesi che lo ospitava, ha espresso la sua soddisfazione. I padroni di casa hanno subito indovinato di quale negozio si trattasse e hanno disapprovato, scuotendo la testa. Gli hanno detto che nessuna persona per bene acquista in quel posto, perché le merci provenivano da paesi dove viene impiegato lavoro infantile e femminile a buon mercato. Se non sbaglio, si trattava della Malaysia. Il mio amico si è sentito veramente a disagio e non si è mai messo quel capotto che ha poi regalato ad un senzatetto di piazza “Slavejkov” che a sua volta non voleva accettare perché era completamente nuovo.

Ci sono vari modi per protestare. E varie culture della protesta.

Fonte: dnevnik


SMOBILITAZIONE DELLE ARMATE AMOROSE

Si è accesa la sigaretta a quel modo,
da cui si capisce che tutto
è già deciso e ha detto:
è finita. . . mi sento come un’armata
in tempo di pace,
manovre su campi abbandonati,
esercitazioni infruttuose
sempre più lontano
da luoghi pieni di vita,
foglie, sterpi, fango, retrocortili,
come un fumatore tra gente che ha smesso di fumare,
come un amante tra chi ha rinunciato all’amore.
Oh, tu lo pensi da tanto, le dissi,
sembra una poesia.
A me spetta il finale, eccolo:
Io sono ferito leggermente,
ferito molto leggermente
e goffamente sanguinante
in tempo di pace.

[G. Gospodinov, Pisma do Gaustin, Plovdiv 2003, pp. 10-11, 23, 35.
Traduzione dal bulgaro di Giuseppe Dell’Agata]
Fonte: eSamizdat.it, che ringraziamo. Tutti i diritti riservati

georgi gospodinov


(grazie a roberto corsi per avermi fatto scoprire questi versi)