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In altre parole lo stato può pretendere ubbidienza e rispetto delle leggi solo se si mostra in grado di garantire l’incolumità dei suoi membri. E, in primo luogo, l’integrità fisica e l’inviolabilità del corpo. Ancor più quando quel corpo si trova in stato di reclusione e privato della libertà. link

non so descrivere chiaramente il mio stato d’animo per ciò che è accaduto e continua ad accadere in italia durante gli ultimi anni, ma mi sento di paragonarlo ad una serie di frane / se qualcosa di tremendo e deludente lacera l’idea che questo sia un paese civile provo a ricucire la ferita, provo a dirmi che mi sto sbagliando, che lo Stato possiede ancora l’autorità e la forza, che rappresenta tuttora una guida e un esempio per i suoi cittadini / ma ogni volta ogni volta ancora ogni volta mi trovo a sbattere contro una realtà che contraddice la fiducia e le speranze, che sono le mie e quelle di tanti tantissimi italiani (persone normali – individui – cittadini onesti) che si sforzano di pensare e di capire e che provano a mettere insieme i cocci di qualcosa che non ha più nemmeno una forma e che non ha radici ferme su cui far leva /

penso con dolore al dito medio alzato dagli imputati al processo di primo grado per la morte di stefano cucchi, segno premonitore dell’atroce sentenza di pochi giorni fa che vede tutti assolti i responsabili, penso alla caserma bolzaneto e alla scuola diaz, ad altri responsabili usciti indenni e praticamente immacolati dall’ennesimo processo dall’esito inappropriato e blando, penso a schettino che sale in cattedra all’università per raccontare agli astanti chissà quale retorica ipocrita menzogna / e mi sembra di riconoscere affinità che mai avrei pensato possibili con scenari remoti, con regimi inqualificabili, mi sembra di intravvedere gli stessi oscuri tumori che in passato hanno devastato paesi e risorse in nome di un potere malato / continuo a tacere provando a ridimensionare sistematicamente i fatti (impresa titanica), tento di mettere insieme rocambolesche giustificazioni o scusanti che mai stanno in piedi, ma sempre più spesso finisco per domandarmi com’è che stiamo ancora tutti al nostro posto, come mai permettiamo a un manipolo farsesco e ipocrita che nessuno ha realmente eletto di tenere le fila di un paese sfoderando tutta la sua indifferenza mentre intorno succedono cose talmente terribili? / mi pare talmente assurdo che tutto proceda come sempre e che certe questioni vengano sistematicamente affossate e dimenticate nel giro di giorni, come se non fosse accaduto nulla di tragicamente sbagliato, nulla di deprecabile / eppure certe cose non dovrebbero succedere in un paese civile, non ci sarebbe bisogno di arrivare al processo, le istituzioni dovrebbero essere vive e presenti in modo da prevenire simili abusi ed orrori / invece, non solo non si prevengono, ma nella gran parte questi crimini di stato rimangono impuniti! che a scriverlo nero su bianco fa ancora più impressione

il nostro è un paese che non conserva più le proprie cicatrici, e che di questa rapida e omertosa rigenerazione del tessuto pubblico ha fatto lo stumento principale di maquillage per produrre un risanamento di superficie lesto e indolore / parrebbe che l’abilità principale sia quella di levigare la storia di tutte le sue rughe recenti (ed anche di altre più antiche), delle ombre e delle ferite, restituendo l’immagine di un luogo neutro e ineffabile, insignificante, artificiale; un luogo in cui è decaduto il dialogo col centro del potere (contrariamente a quanto vogliono far pensare certi usi demagogici dei mezzi di comunicazione) e in cui molti probabilmente si sono abituati a rapportarsi con gli eventi della cronaca allo stesso modo in cui si rapportano a un evento televisivo / ed in effetti, da tantissimi cittadini viene evaso qualsiasi atto critico fondato nei confronti della realtà, di cui peraltro sono proposti e valorizzati gli aspetti sensazionali per il tempo necessario alla fioritura mediatica / ecco perchè mi sembra che questo sia ormai un paese privo di forma, plastificato, plasmato, retoricizzato, rappezzato esternamente lasciando che sotto la superficie tutto si sgretoli nella più totale indifferenza, generando un grande vuoto / non si tratta di scegliere uno stendardo, un partito, una faccia, ma di ricostituire l’identità e la presenza dello Stato, questione che va ben oltre lo schema partitico e gli stemmi / la spersonalizzazione parte proprio dalle stesse istituzioni, prime responsabili di tale processo di occultamento della storia, che si smaterializzano di fronte alla realtà dei fatti lasciando i cittadini in balìa degli eventi, privi di riferimenti e a quanto pare privi di qualsiasi tutela /
questo mentre il presidente del consiglio organizza meeting leopoldiani e pasteggia da eataly con le sue truppe / agghiaccianti contrasti tra chi è al potere e chi muore a causa del potere

su rai5 va in onda settimanalmente petruška, una trasmissione dedicata alla musica
nella puntata di oggi intitolata “il terzo suono” il conduttore dall’ongaro racconta come nel corso dei secoli l’uomo abbia imparato a ricavare suoni inediti da strumenti che rimangono sostanzialmente immutati: il violino, il flauto, il pianoforte, arrivando fino alla valorizzazione estrema delle pause e del silenzio, ciascuno strumento a disposizione rivela una timbrica molto estesa e permette combinazioni quasi illimitate di suoni e di trattamenti per ottenere una scrittura aderente alle esigenze estetico-musicali di epoche diverse
questa capacità di svecchiarsi (o piuttosto di non invecchiare) posseduta dagli strumenti (ma ancor prima il ruolo cruciale degli artisti che sono in grado di rivelarne la perenne giovinezza) mi porta a considerare con una certa amarezza il punto attuale: nel documentario infatti emerge con forza il ruolo importante che ebbe il contributo italiano alla crescita della musica internazionale e della ricerca. nomi come berio, gazzelloni, nono, ensemble nuova consonanza di cui fece parte morricone tra gli altri, salvatore sciarrino (ultimo tra i sopravvissuti, ma forse aggiungerei anche boccadoro e il suo ensemble) oggi dovrebbero contendersi il primato con evanescenze quali einaudi, il retorico vacchi o persino allevi? la morte di claudio abbado pone ancor più tragicamente l’accento su un panorama costellato di molte ottime voci ma sguarnito di reali emergenze e di talenti che sollevino in alto la musica e la cultura italiane
la trasmissione si chiude con un video ormai celebre degli anni 60 in cui mina e gazzelloni in prima serata sulla rai interpretano una breve fuga di bach, e mi chiedo quanto di trasmesso oggi (non necessariamente in prima serata) possa eguagliare una tale leggera bellezza e quale personalità si possa confrontare con una simile triade di talenti che andavano disinvoltamente in onda su un canale generalista e popolare come raiuno

pare che lasciamo sempre più spazio al rumore indiscriminato (e per rumore intendo l’inconsistenza commerciale e scialba di produzioni prive di spessore, tutte uguali e analogamente fastidiose, sparate ad alto volume perché in fondo il volume è l’unico elemento a fare la differenza, in grado di far vibrare qualcosa nel nostro organismo ottundendo ancor di più la ragione se ne è rimasta) (altro…)

L’ITALIA CHE HA VOTATO IN QUESTO MODO
È UN’ITALIA LA CUI VERA MISERIA È CULTURALE

NON C’È CULTURA SENZA MEMORIA

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ultimi giorni d’aprile
riflessioni schematiche scaturite viaggiando in corriera

il paesaggio italiano contemporaneo non mi piace, mi comunica una particolare malinconia, la sensazione di spaesamento per un’inconsistenza irriconoscibile basata sull’assemblaggio casuale di pezzi che non si parlano e non collaborano alla realizzazione dell’ambiente urbano – le città italiane hanno perso progressivamente la loro personalità per diventare mediocri e noiose, e dal dopoguerra ad oggi si sono trasformate in un’accozzaglia di materiale costruito privo di fascino
apprezzo maggiormente lo stile americano, senz’altro più sgraziato e pacchiano, ma dotato di una sua coerenza interna
in italia invece, i presupposti storici, culturali ed urbanistici, sono stati progressivamente traditi, scopiazzando sistematicamente quanto veniva proposto da altri paesi, da intelligenze che non si erano confrontate con il nostro contesto ma con il proprio, dando sempre più spazio ad un panorama senza identità, popolato di elementi estranei (pensiamo solo ai centri commerciali che hanno scopiazzato le mall americane) – ci sentivamo così moderni, ad “abbellire” il territorio con simili mostruosità!

e mentre altrove il paesaggio si conformava in risposta alla struttura identitaria degli abitanti, generando forme di armonia non impostate sul mero giudizio di bellezza (qui da noi ancora gli architetti si interrogano puerilmente e sterilmente sulla questione formale) ma sulla pratica corrispondenza e riconoscibilità per chi abita un luogo e lo utilizza, individuando la morfologia urbana più conforme alle abitudini di vita e realizzando un percorso prima di tutto identitario e quindi (eventualmente) di superficie, nel caso italiano si produceva al contrario una generalizzata perdita degli elementi tradizionali sostituiti da un’accozzaglia di riferimenti di importazione, essendo mancata una riflessione seria e mirata su quale avrebbe dovuto essere l’evoluzione dello stile italiano (anche e soprattutto nelle abitudini di vita) andando a lavorare su quello che la tradizione ci aveva insegnato dando un senso coerente e costruttivo alla modernità

così, oggi gli inventori della pizza mangiano hamburger al mc donald’s (le trattorie sono praticamente scomparse e molte delle pizzerie sono in mano a famiglie straniere), nella patria dell’alta moda si veste con abiti cinesi ed invece di rivitalizzare le piazze le abbiamo sostituite con centri commerciali dove i negozi aprono e chiudono a ritmo settimanale

in realtà definire la questione non è semplice, perché il processo in atto è di natura globale (grande ruolo ha la tecnologia), ma ci sono in italia particolari elementi di debolezza che non abbiamo saputo affrontare nel modo migliore, anzi, che abbiamo assecondato mettendo in mostra la nostra vocazione all’ignoranza e la totale assenza di anticorpi ed enzimi culturali ed etici

cos’è mancato all’italia negli ultimi sessant’anni?
cosa ci ha resi mediocri e spenti dal punto di vista culturale e artistico?
che cosa ha generato un sistema di abitudini e di regole così provinciale e sbiadito?

… sapessi rispondere ci scriverei un libro!

02.05.12
aggiorno il post con alcune parole trovate stamattina nel libro scelto per il viaggio: franco la cecla – contro l’architettura 

la cecla




I
ieri guardavo con tristezza e un certo carico di delusione il video di patti smith e marlene kunz sul palco del teatro ariston, un’esibizione che a mio parere andrebbe presa e considerata ben al di là della sua riuscita artistica dato che il grande palcoscenico del mercato si sta inghiottendo via via qualsiasi icona, anche le più reticenti e pure, e non manca mai di ricordarci attraverso questi piccoli camei (che al pubblico inconsapevole forniscono quel retrogusto di trasgressione che tanto li fa godere, poco importa se si tratta di una riproduzione artificiale in stile disneyland) che lo spettacolo è in grado di fare quello che vuole, basta pagare, e che nessuno è abbastanza forte e in grado di rimanerne completamente fuori

l’italia bigotta in realtà non si scandalizza di fronte a niente, e tantomeno si pone domande, basta che tutto passi attraverso il vaglio ipnotico del teleschermo – inghiotte qualsiasi baggianata e piano piano si addormenta, diventa più lenta nei riflessi, si concentra sull’inutile e non si accorge nemmeno più delle ragioni per cui tira fuori i soldi dal portafoglio, e delle tante maniere in cui va pagando la sua scarsa consapevolezza, la sua pigrizia qualunquista e la sua vocazione strutturale all’approssimazione

qui un articolo di francesco merlo sull’ultimo sanremo

II
è di ieri sera la notizia che il sito di vajont.info è stato blindato da un giudice per aver pubblicato una battuta che metteva in relazione in modo piuttosto esplicito e pungente la mafia, la merda e due simpaticoni a caso, il cui nome noto a tutti evito di trascrivere per ragioni fin troppo ovvie

ecco dunque partire un provvedimento che non solo mette un grave e vergognoso bavaglio a una libera espressione (che certo sfiorava pericolosamente la diffamazione), ma opera in senso ben più pesante andando a rimuovere l’intera piattaforma e quindi tutti gli articoli in essa ospitati, senza che vi fosse alcuna condanna dichiarata per diffamazione rispetto ai contenuti incriminati
sono passate solo poche settimane dalla pesante operazione dell’antitrust americana nei confronti di megavideo ed altri siti di hosting, che ha drasticamente ridotto la possibilità di scambiare materiale online, e già ci troviamo di fronte ad un ulteriore e pericoloso impoverimento della rete, che sembra destinata a un futuro prossimo di progressiva irregimentazione, una stagione incalzante in cui verranno limitate gradualmente la libertà di espressione e di scambio dell’utenza e la possibilità di utilizzare internet per fini diversi da quelli dell’intrattenimento e del commercio, o della circolazione di dati e informazioni che si pongano in netto e radicale contrasto con le logiche di chi comanda
non vengono puniti i siti porno o quelli che invitano a giocare d’azzardo, sappiamo purtroppo che persino la rai ha deciso di ospitare alcuni spot di sale da gioco online – ma vengono e potrebbero ancora venir censurati e perseguiti penalmente tutti coloro che si esprimono in netto contrasto con le logiche partitarie o delle lobbies finanziarie, quelli che agiscono in funzione di una libera circolazione dei contenuti e che immaginano un mondo che ponga su un piano diverso le esigenze del mercato rispetto a molti altri obiettivi che vanno in diversa direzione, più democratica e attenta nei confronti dei diritti umani e dei valori sociali
la rete fa molta paura a tutte le forme di potere e l’unico modo possibile per neutralizzarla è quello di mettere un pesante bavaglio e dare il via a una politica di censure e sanzioni (non vedono l’ora!), nel tentativo di scoraggiare ogni forma di controcultura e qualsiasi altro tentativo di boicottare le svariate forme di supremazia economica cui siamo quotidianamente sottoposti

e mentre si prospettano simili scenari, prendono sempre più piede i social network, sui quali svariati milioni di persone spendono le loro giornate a scambiare informazioni e materiali, opinioni e dettagli di natura personale, senza fare caso al grande occhio che sorveglia ed incombe, e poco preoccupati che la loro privacy venga costantemente violata a loro insaputa / la maggior parte di loro – diciamolo – dissemina la rete di cazzate o tutt’al più di ogni genere di amenità, e quindi rappresenta un target ideale per il business e un soggetto che non desta preoccupazioni d’altro genere / non pensano alla censura, queste candide creature: magari parlano dell’ultima cravatta che hanno regalato al fidanzato, oppure riempiono la bacheca di fotografie anticate, processate con il loro iphone, si divertono a leggere le bacheche degli amici per rincarare la propria dose di quotidiane piacevolezze del tutto inutili per il pianeta – e se qualcuno viene censurato che importa?
la libertà per loro è poter scegliere un paio di calze o la macchina nuova
insomma, solo fuffa di ordinaria amministrazione che non fa paura a nessuno, là in alto

le considerazioni di wu ming sul caso vajont.info in un commento

qui un altro post che spiega in dettaglio la situazione e le sue possibili conseguenze

III
stamattina, parlando con un “collega” (mi sento poco adatta alla definizione di insegnante, ancora troppo imparante e incerta per quel ruolo) in merito a sanremo, mi son sentita dire che il festival e il calcio sono analoghe espressioni collettive di una certa italia, da mettere sullo stesso piano / la mia risposta, da amante della musica e della cultura molto più che del calcio (per quanto…), è stata che in genere chi va allo stadio conosce bene ciò che va a vedere, è consapevole del suo gusto e compie una scelta abbastanza precisa, pur con tutte le aberrazioni comportamentali che ne conseguono, mentre chi guarda sanremo nella maggioranza dei casi lo guarda e basta, e di musica o televisione non capisce proprio un cazzo – in genere è un pubblico che si annulla davanti a tante altre porcate televisive e aspetta questa kermesse per decerebrarsi una volta di più con la melma dei gossip e per impantanarsi fino agli occhi parlando di tutto fuor che di musica o di comunicazione: l’orlo di una gonna, la sfumatura dell’ombretto, il seno rifatto di una soubrette, il tatuaggio e la battuta grottesca, la mutanda si o la mutanda no? (e questo elenco di nobili quanto imprescindibili argomenti potrebbe continuare a lungo, purtroppo …)
tutto ridotto a mera chiacchera fine a sé stessa

mi è stato obiettato che le persone non dovrebbero giudicare, quasi che esprimere un giudizio personale su uno spettacolo mandato in onda da una rete pubblica (e sottolineo: pubblica) e le re-azioni dei cittadini-spettatori fose un atto di presunzione / quale dovrebbe essere dunque il ruolo del nostro cervello e il limite delle nostre opinioni nel momento in cui ci troviamo di fronte a un evento di natura collettiva che catalizza l’attenzione delle persone e dei principali media e che rientra nelle priorità televisive di così tanti italiani? quello di entrare in stand-by senza trarre conclusioni in merito o quello di analizzare criticamente la situazione prendendo una posizione che ha tutto il diritto di essere anche (ma non solo) ideologica e culturale? perché non posso giudicare quello che vedo se è conseguenza di una decadenza culturale ed intellettuale del mio paese? perché devo astenermi dal dire che di fronte a certi programmi basta un minimo di decenza e di intelligenza per decidere di cambiare canale dopo pochi minuti?

l'intelligente e provocatoria illustrazione di gianluca costantini

IV
siamo abituati a soprassedere, a mettere le cose in calderoni generosamente allargati e tolleranti, dove ci stanno comode e non causano turbamenti rispetto alla loro definizione / ma l’approssimazione rappresenta uno scanso delle proprie responsabilità, di pensiero prima, e di comunicazione poi –  ed è proprio l’approssimazione che in buona misura ci impedisce di assumere una posizione chiara e decisa nei confronti delle cose – perché spesso, per pigrizia o per comodità (quello che si definisce comunemente quieto vivere) preferiamo fare di molte erbe un fascio senza guardare più da vicino l’assetto reale delle cose ed oltretutto tollerando la differenza in tutte le sue forme, anche quando è solo conseguenza del mal vivere e di un deficit di pensiero

non si tratta di parlare di calcio o di sanremo, piuttosto di prendere in esame cosa sia veramente un evento collettivo condiviso per gli italiani, se esista qualche aspetto che susciti una reale e profonda identificazione, e con questo intendo dire che se davvero mi identifico con una certa cosa mi assumo la responsabilità di quella cosa e mi pongo criticamente (con coscienza critica) nei suoi confronti / possiamo scegliere solo ciò che conosciamo, e quando non scegliamo vuol dire che veniamo scelti (ma non sotto forma di investitura divina…)

non credo che la soluzione sia non possedere un televisore, non credo (penso di averlo già scritto) che rinunciare a uno strumento sia la posizione migliore / penso invece che gli strumenti vadano usati per ricevere le cose buone che sono in grado di offrire (l’altra sera per esempio, rai 5 ha trasmesso, pur se a un’ora indecente, bela tarr, tanto per dire) e che sia un nostro dovere fare in modo che tali strumenti rimangano al servizio del bene pubblico e lottare affinchè non diventino sempre di più causa di torpore mentale e di abbrutimento culturale /

quello che ho domandato al mio collega musicista nel momento in cui affermava che potendo sarebbe andato a sanremo per essere parte di quello che per lui è un grande per quanto discutibile progetto pubblico, è stato che cosa secondo lui sarebbe rimasto nel cervello degli italiani alla conclusione del festival e quale valore aggiunto contribuiva a dispensare la detta rassegna – la risposta era ovvia ed ha fatto de-cadere la conversazione, ma davvero ritorno sul mio vecchio adagio in merito al fatto che troppo poco ci domandiamo se le cose che facciamo, i libri che leggiamo e le nostre pratiche culturali siano in grado di renderci più forti e più ricchi o se siano invece soporifere pratiche di mantenimento, dove un’immobilità piacevole sembra essere l’unico bene perseguibile

l’accondiscendenza che dimostriamo nei confronti di molte situazioni culturali di misero compromesso e di scarsa qualità, è conseguenza del fatto che costruire variazioni del senso e perseguire una maggiore solidità culturale implica uno sforzo enorme, e soprattutto tante forme di rinuncia alla piacevolezza che invece impregna la scadente sottocultura cui siamo sempre più abituati / è faticoso e scomodo essere coerenti, è faticoso mettersi a smontare la realtà di ogni giorno e cercare il pelo nell’uovo delle cose, ci può rendere infelici, a guardar bene, e molto antipatici – e lo dico perché questo mondo recente mi angoscia profondamente, è un mondo che manca di valori condivisibili, è brutto e non mi piace / non mi piace esser costretta un po’ come tutti a cercare la gratificazione solo nel privato, nell’individuale, od entro i limiti di una condivisione locale / e non mi piace accontentarmi sempre e comunque / avrei bisogno di sentire che alcune cose vanno bene per tutti, o quantomeno per tanti, che esiste un piano più ampio per condividere il piacere così come lo sforzo della costruzione (e in questo caso intendo la costruzione politica nel suo senso più alto)
non mi importa nulla di sanremo, ho la televisione ma non lo guardo
ma mi ha ferita sapere che patti smith l’altra sera era su quel palco, perché era un altro tassello privo di senso che si aggiungeva al mosaico del presente, un altro momento di insensata contaminazione, perché non è più vero che l’importante è solo fare cose “belle” (posto che lo siano davvero) non importa dove e non importa quando / invece dovremmo proprio cominciare a decidere con più attenzione dove quando e soprattutto perché – sperando che almeno per quelli che come lei (patti) sono arrivati molto in alto, non siano i soldi od il prestigio personale l’unica discriminante alla base del compromesso

V
colophon
sono diventata antipatica, e pesante
è perchè sono infelice, e le ragioni non sono esclusivamente di natura personale: mancano le gioie condivise di cui sopra, i motivi per andare orgogliosa del mio paese, delle persone che ci governano, e più in generale per essere soddisfatta del tempo in cui vivo
in passato a scuola i colleghi erano contenti di vedermi, perchè dicevano che portavo con me una strampalata forma di allegria
ma era un’altra stagione
adesso immagino proprio che non sia così: sento di trasportare anche al lavoro questa pesantezza di pensiero, che si dissolve solo in compagnia dei ragazzi, quando siamo immersi nelle attività più concretamente connesse all’apprendimento ed allo scambio di contenuti
aspiro ad un lavoro che mi consenta di vivere in silenzio

siamo arrivati al punto in cui, pur di non attaccare i benefici di chi si trova al comendo, pur di non infierire contro i grandi evasori fiscali, pur di non impegnarsi a una revisione seria delle spese della politica, pur di non applicare con determinazione tasse più alte per le attività produttive ecologicamente discutibili, pur di non tagliare drasticamente le spese militari, si ricorre alla dismissione dei beni dello stato, cedendoli a privati

il patrimonio italiano, già massacrato nel corso dell’ultimo ventennio, subirà la mazzata finale
un paese al macello


(B)
“Dovrebbe dimettersi, consentendo al Paese di provare a salvarsi, finché è in tempo. Ma non è un uomo di Stato, e il suo destino personale gli preme più del destino dell’Italia. Si rinchiude in un’agonia democristiana, da tardo impero, che potrà produrre un accordo con il minimo comun denominatore, ma non produrrà più né politica né governo.
L’Europa e i mercati giudicheranno questo vuoto di responsabilità. Intanto dobbiamo prendere atto che, mentre i governi cadono regolarmente quando una fase politica si esaurisce, solo i regimi non sanno finire.”
EZIO MAURO

 

nel corso degli anni varie riviste od altre iniziative editoriali italiane mi hanno contattata per chiedermi di pubblicare i miei lavori, o di utilizzarli in svariati modi all’interno di qualche pubblicazione / nessuno di loro si è mai posto la questione del pagamento: ti mandiamo qualche copia, dicevano al massimo, oppure nemmeno sollevavano la questione /
all’inizio accettavo perché mi sembrava lusinghiero il fatto che l’editoria si interessasse di quanto avevo realizzato, inoltre veder stampate le proprie cose è (quasi) sempre una soddisfazione / a un certo punto però, grazie alla diffusione transnazionale operata dalla rete, hanno comiciato a contattarmi anche società straniere, ed allora mi sono resa conto che quando le case editrici degli altri paesi richiedono qualcosa di tuo (non parliamo di editoria indipendente a budget zero o di webzine senza introiti pubblicitari), viene sempre offerto un corrispettivo in termini finanziari / si tratta di una considerazione diversa del lavoro creativo e della fatica spesa nella realizzazione delle opere, che qui da noi non trova la giusta considerazione (contando soprattutto sul fatto che, visti i tempi, se tu non vuoi darmi qualcosa da pubblicare gratis trovo qualcun altro che lo fa, pur di veder stampare il suo lavoro e poterlo inserire in un curriculum) / lo stesso vale per altre opere di ingegno, per la scrittura, ad esempio, o per la musica; come se il tempo che uno dedica a realizzare un articolo od a scrivere e suonare le proprie canzoni fosse ininfluente / è vero che molte iniziative culturali non ricevono sufficienti fondi ma in italia la scarsità di mezzi e la mancanza di etica nei confronti del lavoro creativo (e non solo di quello) non sono necessariamente due fenomeni correlati, e la giusta retribuzione di un lavoro non viene quasi mai considerata come un dovere morale da parte del cliente o di chi commissiona una qualsiasi opera /
ma la verità è che sono io a dover decidere se e quando lavorare gratis, e non me lo devono imporre o chiedere gli altri! e coloro che accettano per debolezza, senza pretendere quanto gli spetta, non fanno altro che screditare le diverse categorie preofessionali, facendo sì che sempre più committenti si sentano autorizzati a una svalutazione finanziaria del lavoro altrui, legittimando tariffe infime o persino le prestazioni gratuite /
svegliatevi italiani, è ora di pretendere di abitare un paese civile!

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