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26112015 [ sera ]
chi c’è in quell’ambulanza che sfiora ululando la corriera e infilza l’ospedale?
chi c’è nell’ombra che non vedo, e chi dietro le mie spalle?
chi procede dentro i cappotti? chi parla oltre il vetro?
e chi ha smesso a mia insaputa, di pronunciare per sempre nomi che non conosco?

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28112015 [ mattina ]
paesaggi capovolti allagano il durante
separano spaziosamente prima e dopo
il prima del dopo dal quando e dal sempre

le fonti di luce non sono certe
nemmeno lei – diventata altra

riflessa sul vetro sporco
senza riconoscersi – osserva
tremolare il paesaggio –
lo vede cadere, capovolgersi – ansimare fuori fuoco
come un pomeriggio che si perde in sé stesso
e rantola fino a sera

di notte – chiude gli occhi finally – senza schermi

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questo novembre è il mese del suo cinquantesimo compleanno
si rende conto di essere cambiata in modo anomalo e che gli anni udinesi solitari e monotoni sono stati l’alibi per impigrire progressivamente la vivacità di ragionamento, l’invenzione e gli slanci
l’attività grafica attesta tale passaggio a un mondo di marionette, con minimi squarci da cui fuoriesce saltuariamente il malessere di vivere suo malgrado costretta in un involucro adulto

sono stati anni in cui ha osservato i suoi cari invecchiare come sotto una lente di ingrandimento, e la gratitudine di questa possibilità, il nido ancora infantile in cui si rifugia fragile attaccandosi a quelle ossa ottuagenarie, è il paradosso che la conserva sul margine friabile di un baratro smisurato e sconvolgente, eccessivo e forse letale per la sua indole incapace di svilupparsi ed invecchiare a sua volta

ha paura delle prospettive e delle ombre – allora si rinchiude in quel recinto decadente amorevole e soleggiato, pieno di polveri recidivanti e di elettrodomestici al limite dello sfascio; si attacca agli orli dei vestiti secolari e dorme avvolta in coperte piene di buchi come se ad avvolgerla fosse il tempo in cui quelle coperte erano ancora nuove

il presente non si attacca, il presente non germoglia
se le chiedono l’età prova imbarazzo nel pensare a quanta distanza e incomunicabilità vi sia tra l’anagrafica reale espressa dal calendario e quella sua mentale che percepisce guardandosi dentro: lei è ancora ragazza, poco più che adolescente, lei non sa bene come baciare e non sa stare al mondo con disinvoltura

tutto si risolve in segni ripetitivi, come certi bambini che replicano all’infinito lo stesso gesto o la stessa frase, specie di mantra dell’età giovane, mantra del bambino immortale che vive in alcuni di noi più che in altri, altri che invece quel bambino l’hanno ucciso prontamente, entrando risoluti nel mondo della ragionevolezza

comunque sia, è un mondo senza vincitori

… nello scrivere queste cose si accorge di riuscire ormai solo a immaginare piccole cartoline, di trovare minimo sollievo scattando immagini morbide con il telefono, e vuole che il suo racconto sia di libri smilzi e minuscoli, capaci di entrare nel palmo di una mano – e non quello pagato a metraggio di pittori che sanno riempire pareti smisurate e capaci a disegnare dettagli supefacenti

la rassicurano gli strumenti del provvisorio del non finito e dell’amatoriale; quelli che non implicano una presa di responsabilità sulla definizione formale e probabilemente concettuale

ecco, in questo lavoro l’esito è privo di stupefacenza: perché il suo stupore di infante lo consumano gli occhi molto prima che la mano arrivi alla carta / rimangono poche parole, di un tepore sottomesso; poesie inconclusive che durano il tempo di un cerino acceso e subito morto; piccoli raggi che transitano veloci le immagini rubate durante viaggi altrettanto frugali e senza epica: la vita nel perimetro soleggiante di un piatto di mandarini


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