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inseguire faticosamente virgole e orologi che rotolano lungo le spalliere dei divani
prose lunghe di altre stagioni, ora frasi mozze come matite consumate

[ solitudine – a metà strada tra peso e sollievo ]

I
spògliati spògliati
il corpo non respira

II
(era gennaio)
le braccia (appese, come a una gruccia)
le maglie (sboccano lembi di carne)
le tempie instabili
le nocche tagliuzzate (si aprono simili a fiori)
la neve non caduta
le cartoline (occhieggiano dal disordine)
gli abiti persistenti della madre

mondo di voci senza corpi
di futuro già trapassato nelle mille visioni

[
le suppellettili rimangono – sospese a mezz’aria
poggiate su astanti immaginari
mormorano e bisbigliano – lieve sparpagliarsi
di sillabe mescolate a suoni senza lettere
[

 

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III
guardava con distanza invidiosa
chi sapeva – i giocolieri dell’ironia e del bel canto

 

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I
2202
mentre guarda un vecchio film riconosce il tempo in cui gli oggetti erano onesti / oggi invece è estenuata dalla loro attuale disonestà, dall’aura mediocre che emana dai beni di nuova produzione, anche quelli più pretenziosi / lucidi ma privi di luce
oggetti incapaci di invecchiare con dignità / senza rughe

II
1802
rispecchiandosi negli illuminati coglieva la propria forma immobile che lievitava col passare degli anni sotto il peso di un’inesperienza recidivante da cui non si era mai liberata / pesante come una barca spiaggiata, goffa e spaventata – cucciolo costretto nell’involucro inadeguato di adulto

anche le stagioni invecchiavano con il passare degli anni, come fossero persone, ma non riservavano alcuna sorpresa / era colpa della città, di come stava cambiando e anche di come non cambiava
in quel luogo preciso il tempo non rappresentava una risorsa, piuttosto una particolare condanna all’immobilità, ma alla gente questo sembrava non preoccupare, anzi parevano gradire quel peculiare congelamento delle prospettive

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I
lasciare indietro rigurgiti di grafite,
segni tronfi e frivoli

le parole costringono ad essere più asciutta
sottraggono orli, bottoni, cinture
preservano nudi barlumi di senso, solitari
che talora attraversano i pensieri

II
un cineforum tra le montagne
stivali di gomma e maglioni antichi

III
saranno le parole per un nuovo libro forse
o solo gemiti e scricchiolii da un momento di fatica

circondata da mobili che non ami
– e che non ti amano –
ne inventi altri con la scrittura

inesperta – ma sufficientemente disperata

 

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è primavera – già da qualche giorno


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(se non capiscono i miei suoni inevitabilmente m’annoio)

dischi della settimana (mentre guardo di sfuggita a quello che succede nel mondo) – e una chiosa musicale estemporanea, violoncello ricorrrente che ribadisce la stagione

  • a cherry thing  neneh cherry + the thing – 2012
  • these are our shoes  peggy lee + dylan van der schyff – 1998
  • eureka  jim o’rourke – 1999
  • ascension  john coltrane – 1966
  • bending bridges  mary halvorson quintet – 2012
  • bag it!  the thing – 2009
  • if not inertia  ergo – 2012

 

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*
she:
how can I explain you how much I hate my body?
hate and eat – they go together
like die and diet are both in the same word

**
in certi momenti, in quei momenti di sogno, la nudità dell’uomo pareva sopportabile
anche la pelle eburnea e le sue proporzioni rivisitate
erano esclusi dalla trama il suo delirio asfissiante e la casa maleodorante

ugualmente – l’immagine sembrava una polaroid indie in cui si era insinuato un anziano

***
chi l’avrebbe mai detto che lei – così isterica – avrebbe trovato una personale forma di pace dentro a quei segni minuscoli, andando a sistemarne con pazienza l’assetto, indefinitamente e sempre senza fretta?

1804
con il passare del tempo i colori si erano trasformati nella sua estensione primaria – li recintavano linee sempre più sottili e complesse, intricate come rosai di un bauhaus immaginario

+

la quarta immagine dall’alto tratta dal libro di marina girardi – dalle tane
edizioni G.I.U.D.A – 2011

+
tarte-tatìn di albicocche
arricchita con mandorle sminuzzate e foglie di rosmarino


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non sono in vacanza | I am not on vacation

faccio strani sogni (troppo doowop)

.

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caldo: tutto si scioglie nell’indeterminatezza di un mondo senza spigoli

il corpo esonerato dai suoi doveri – infante viziato

i sogni ultimamente la disturbano – si agganciano quasi pedissequamente a quanto succede durante il giorno

ah! quei fiori dichiarati e poi sepolti

il vestito si arrampica, potrebbe superare ogni tipo di muro / ha polpacci asciutti e sottili – ci sono strisce catarifrangenti sulle spalle e un vago sentore di età / minuziosamente tecnologico e narcisista (come tutto ciò che arrampica?) è un vestito muscolare e riservato, si oppone alla velocità ma sfrutta il rapido affondo degli aghi delle macchine automatiche
hai sempre paura che dietro/dentro ci sia un vuoto che non sei capace di gestire

dolgono le parti stanche
si gonfiano e protestano senza rumore

 

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