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da stampare e divulgare
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il testo del volantino:

Esiste oggi un problema di svalorizzazione della forza-lavoro intellettuale?
Knowledge workers, free-lancers del sapere, classe creativa… Quali sono le condizioni in cui vivono e lavorano i giovani più colti e istruiti? Che cos’è l’intellettuale nell’epoca della new economy? Cosa significa fare cultura al tempo della globalizzazione? E a cosa aspirano i precari laureati e pluri-specializzati di oggi, quando le istituzioni – scuole, università ed enti di ricerca pubblici – che dovrebbero garantire loro una prospettiva si stanno estinguendo? C’è ancora modo di valorizzare il lavoro di chi ha la funzione di inventare e diffondere il sapere?
Quello dei lavoratori precari della conoscenza – veri e propri operai a chiamata del sapere – è uno degli aspetti più paradossali, e assieme uno dei più nascosti, di un assetto sociale ingiusto e contraddittorio. Nella produzione post-industriale – si dice – i modelli economici si reggono sulla creazione immateriale di valore economico reale.
Ma di quale economia della conoscenza possiamo parlare quando il sistema scolastico si regge su un utilizzo ormai strutturale di supplenti che cambiano luogo di lavoro ogni anno, e spesso più di una volta all’anno? A quale possibilità di sviluppo ci riferiamo quando migliaia di corsi universitari, più o meno fondamentali, sono adati a studiosi che non hanno nemmeno i mezzi per condurli in condizioni dignitose?
Forse la mobilitazione dei precari della scuola e della ricerca è nata e sta cercando faticosamente di svilupparsi proprio per questo: per definire ciò che essi (non) sono, per illuminare la loro condizione, per dare voce alle loro aspirazioni. Si tratta di una mobilitazione che non richiede nessuno sguardo pietistico o compassionevole, ma pretende di aprire una discussione aperta sul ruolo e sul futuro dell’istruzione, della ricerca, della cultura in un paese in cui c’è il rischio che si perda ogni gusto a essere istruiti.

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oggi il manifesto esce con un supplemento dedicato alla scuola ed ai tagli operati dalla riforma gelmini / un’ottima occasione per riflettere e fare il punto della situazione

per l’appunto mi chiedevo quanti cittadini e genitori abbiano deciso in questi mesi di fare qualcosa per salvaguardare la qualità del sistema scolastico / me lo chiedevo perché qui a udine sembra che gli unici a protestare sinora siano stati i docenti (tra l’altro non così tanti come si potrebbe auspicare) e una minima componente ata, con un sostegno risibile da parte di altri

e continuo a chiedermelo dove sono i genitori, perché se è vero che noi insegnanti siamo i diretti interessati dal punto di vista dei salari e dei posti di lavoro (io sono attualmente senza un incarico e difficilmente ne avrò uno quest’anno) è vero anche che sono i vostri figli a studiare ed a subire le conseguenze del peggioramento inflitto alla scuola

ma nessuno si muove

i genitori borbottano qualcosa mentre guardano il telegiornale e poi alle manifestazioni non li vedi, quando si tratta di metterci la faccia non li vedi, quando c’è da provare a strutturare qualche idea per cambiare le cose e migliorare la situazione non li vedi, quando si tratta di rendere politica la lotta e più tangibile la solidarietà non li vedi …

oppure li senti addurre giustificazioni del tipo: a me la politica non interessa od ancora la mia posizione politica è una faccenda privata, personale, io non scendo in piazza con i sindacati, eccetera

sarebbero queste le persone che hanno a cuore il destino delle nostre istituzioni?
o aspettano solo che il governo diminuisca le tasse rintanati nei loro salotti?

ripeto: dove sono i genitori?

ma certo, hanno impegni i genitori, devono badare ai figli, lavorare, pensare al futuro ed ai piaceri della famiglia / come se chi scrive e i colleghi in protesta non avessero affetti e impegni quotidiani, e non avessero diritto ugualmente a un futuro ed a una vita decente

ma occuparsi della scuola non è forse badare ai propri figli?

quante ore avreste potuto trascorrere in piazza oppure alle riunioni che trattano il destino della scuola anziché rimanere in casa a guardare un film o andare dalla parrucchiera? anche i vostri figli hanno diritto di sapere e vedere cosa succede, di attraversare lo stato delle cose, e se perdono la lezione di judo o un paio d’ore di video giochi per andare a trovare i loro insegnanti in piazza non cascherà certo il mondo!

del resto cosa possono imparare i ragazzi dell’impegno sociale da famigliari che se ne fregano diplomaticamente, che fanno finta di niente o che delegano? vorrei che rispondeste da soli, e chiudo ricordandovi che anche se perdete qualche pizza con gli amici e un cinemino per occuparvi di quello che sta succedendo beh … credo proprio che sarebbe solo ora!

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nota:
un insegnante è stato utilizzato in froma neutra e quindi senza accento con intenzione

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dopo venezia mi è stato difficile pubblicare qualcosa
sono abbastanza demotivata dall’assenza di commenti come (e forse di più) dall’assenza di lavoro

(la verità è che non voglio tornare a scuola; l’idea di essere insegnante mi corrisponde sempre meno)

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dovrei cambiare modo di fotografare
meno pigro e diligente, meno logico e pedissequo

(ultimamente prendere in mano la nikon è fonte di imbarazzo, di annichilimento)

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leggo quando posso il libro di girolamo de michele sulla scuola
in bilico – tra essere dentro e rimanere fuori

(molto fuori, ultimamente – non vado nemmeno alle riunioni del comitato)

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gli amici e le loro belle case mi mettono in crisi
alcuni scelgono un destino borghese – un percorso di abbellimento (anche culturale) e fanno molti soldi

(tutto un formicolare dei pensieri, di fronte all’inutilità leziosa dei ‘miei’ di-segni)

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parole / david foster wallace via g. de michele

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oggi mi sono svegliata con la netta percezione di quanto sia disperata e senza sbocco la lotta per la scuola / una lotta di pochi di fronte a un’enorme massa indifferente di persone che considerano rumore le nostre proteste e che non ne capiscono il senso, che vogliono per i loro figli solo un pezzo di carta, possibilmente ottenuto con il minimo sforzo
la parola cultura è una reminescenza inutile del vocabolario, un ramo secco che si conserva per ricordo – una cosa morta, senza spirito
persino i creativi ormai propongono nella stragrande maggioranza dei casi un bello viziato, perseguono un’estetica masturbatoria e priva di energia, che induce all’incoscienza, a una forma apolitica di oblio
si tratta di un intimismo fuori luogo e fuori tempo, di fronte a quello che succede nel nostro paese e nel mondo, sbocchi formali più vicini a una moda che a un moto autenticamente culturale / tali manifestazioni sono il risultato del fatale connubio tra tecnologia e tendenze modaiole più che di invenzione e sacrificio / gesti spogliati di ogni valenza processuale e di ogni intenzione costruttiva, moltiplicati all’infinito / apoteosi esponenziale del bello gratuito

cosa impariamo da queste nuove forme di espressione?
cosa cambia in noi di fronte a tanta piacevolezza?
temo che la maggior parte sia contenta di rifugiarsi in tiepide nicchie (verbali o iconografiche non importa) in cui è possibile e plausibile evitare di prendere posizione, nicchie accondiscendenti, generaliste e di largo consumo
proprio come un bel vestito, queste manifestazioni creative non procurano alcuno scarto del pensiero, nessun ribaltamento del senso comune, soprattutto nessun collegamento attivo con il mondo – ci spingono piuttosto a impiegare il nostro tempo per perfezionare individualmente dettagli formali della nostra vita (guardaroba, arredamento, gastronomia)
in una lettera ieri l’ho chiamato qualunquismo estetico
lo stesso che ci tiene lontani dalla comprensione dei valori perduti nel corso dell’ultimo ventennio e che ad esempio provoca un pietoso assenteismo nella protesta per salvaguardare la scuola / i precari sono antiestetici e sfigati, decisamente fuori moda, non vanno bene nemmeno per il modernariato – i professori poi (quantomeno quelli della scuola primaria e secondaria) fanno parte di una categoria ancor meno autorevole, gente fallita che non avrà mai successo nella vita, che non trarrà ricchezza materiale dal proprio lavoro e che dovrà cedere perennemente al compromesso antiestetico dell’istruzione italiana: arredi di second’ordine, libri impaginati tristemente, scenari mediocri da lasciare nell’ombra

tutto è talmente correlato, un processo di disintegrazione culturale che pervade ogni strato e che ha preso corpo a partire dal dopoguerra, con l’insinuarsi di una cultura dei beni materiali e dell’apparenza che è andata a scalzare la cultura con la c maiuscola, quella di talenti autentici che dedicavano al sapere e alla ricerca l’intera vita, talenti senza fronzoli
(attualmente ci restano solo i fronzoli)

nemmeno esprimersi decorosamente ed efficacemente nella propria lingua rappresenta ormai un problema: in fondo non ci sono poi cose tanto complesse da dire – sono sufficienti comunicazioni pratiche, al massimo gli insulti e i versi per la partita allo stadio o per sbeffeggiare gli stranieri /
per rutti e scorregge non servono diploma o dizionario

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mi sento fragile

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ieri giornata cgil
assemblea al palamostre con aula gremita
a guardar bene, poco prima dell’una la gran parte di loro si dilegua (eppure c’era ancora il rinfresco!)
si tratta forse di docenti che vengono alle assemblee solo per non stare a scuola (break sindacale) o per tener buona la coscienza?
fatto sta che nel pomeriggio, alla manifestazione con le vuvuzela, eravamo solo una ventina
perché quando si tratta di mettere il proprio tempo a disposizione di una lotta quasi tutti hanno da fare, trovano scuse, non rispondono al telefono / un’amica mi scrive dicendo che all’assemblea non è venuta perché aveva due riunioni a scuola: …ma questa cosa non riguarda forse la scuola: non è scuola la riforma in atto, non è scuola questo licenziamento in massa?
honsell ancora una volta presente, conferma il suo appoggio agli insegnanti in lotta e ribadisce il dissenso nei confronti delle posizioni governative – si percepisce la fragilità di un sindaco isolato che non intende rinnegare le sue convinzioni / parla con trasporto, del resto l’università la conosce bene (rettore per molti anni qui a udine) / oggi incontrerà i precari in sala ajace
già, i precari: non si vedono all’assemblea, latitano, forse hanno altri lavori, forse sono tornati a casa (molti sono del sud) – quello che mi diventa sempre più chiaro è che costruire un movimento di protesta circondati da tale indifferenza e assenteismo è davvero difficile
mentre ci spostiamo da una piazzetta all’altra per manifestare con una performance silenziosa, incontro a. per strada e la porto con noi – anche lei insegnante precaria – ormai ci vediamo poco, abbiamo studiato insieme architettura a venezia e condiviso molte esperienze, tanti amici cari in comune, cene feste e ricordi, e quando ci si ritrova quel substrato comune consente confidenza e tranquillità / beviamo qualcosa in piazzetta san giacomo prendendo il sole, per qualche ora sembra estate e la luce scotta ancora
oggi è nuovamente autunno…

dopo la sala ajace nel pomeriggio conto di visitare il museo della città fresco di inaugurazione, allestito da gae aulenti in palazzo cavazzini – … una città borghese non può che dotarsi di un museo borghese?
pregiudizi o certezze?
a ver

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la FLC ha distribuito ai presenti un kit-volantino contenente una serie di indicazioni per gli insegnanti, regole concrete per attuare una protesta attiva all’interno delle scuole / il linguaggio del testo tradisce l’urgenza e la concitazione degli animi e senz’altro tali posizioni in altri tempi avrebbero potuto risultare discutibili e dannose, ma in questo momento non si delineano molte alternative possibili /
chi avesse idee o suggerimenti può farsi vivo

nel pomeriggio una manifestazione riuscita bene di docenti piuttosto incazzati
c’era il nostro bravo sindaco – la piazzetta affollata, gli striscioni e i palloncini colorati
( trenta,  sospesi in un perimetro esiguo, come gli alunni nelle classi di adesso )
si può leggere un post dedicato alla manifestazione con qualche altra foto su carnia.la

un libro nuovo
e – ho messo le lucine colorate intorno a una finestra

non mi illudo di niente / non sento niente / ma racconto


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