INDICE 2005

 

 

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14 01 2005

02
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04
  29 01 2005
05
  29 01 2005
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  05 04 2005
0007
  11 04 2005
08
  05 07 2005
09
  20 07 2005
10
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11
  30 08 2005

 

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14 01 05

THE DELIVERY MAN - KING IS BACK!

l'ultimo disco di costello supera ogni aspettativa, e costruisce una magica triangolazione tra i gangli migliori della sua carriera. stupisce positivamente persino quando fa venire in mente particolari meno accattivanti del suo percorso [dettagli passati che una buona parte degli ammiratori vorrebbe dimenticare, come il richiamo a for the stars in either side of the same town]. ebbene, il grande mago del pop riesce a dare un senso anche alle meno riuscite tra le molteplici e multiformi tappe della sua crescita, che in virtù di questa costante ri-metabolizzazione stento a definire eclettica quanto piuttosto accentratrice: alla fine tutto ritorna al re, e la sua voce stridente eppur così abile riconduce ogni nota nella griglia geniale dello Stile.
non c'è divagazione classicheggiante che tenga: queste sono le vette del pop, e nicolette larson si rivela una partner vocale ben più convincente della stucchevole [e quasi patetica nel tentativo mal riuscito di spaziare] von otter.
così la title track ha un sapore quasi antico, e ritornano alla mente i tempi d'oro di blood & chocolate e le melodie country di almost blue, partorite in piena new wave e registrate in uno studio di nashville.
ritorna quindi il grande rock'n roll e costello si concede una scatenata e travolgente monkey to the man da vecchi tempi. le atmosfere che da bacharach in poi avevano forse troppo spesso fatto abbassare i toni in virtù di una neo-melodia poco convincente, sono state finalmente metabolizzate e ricondotte più vicine allo swing melancolico di mcmanus, di modo che anche nei pezzi più sereni il loro apporto si mescola a una velatura country che regala un particolare dejavu [eccetto forse nella dolce nothing clings like ivy, che in ogni caso, più che a painted from memory fa pensare alle canzoni più lente di mighty like a rose e di spike, così come succede con altri titoli di questo entusiasmante ultimo lavoro].
più saggio che mai, costello recupera l'aura magica della sua middle age: ...bentornato elvis!

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16 01 2005

sempre in ambito sonoro, segnalo su ABASTOR 33 un interessante articolone sulla storia della musica elettronica firmato erik ursich: personaggi, date, strumenti e illustrazioni in una sintesi chiara e dettagliata che fornirà un prezioso compendio a chi vuole familiarizzare con un genere ancora tutto da scoprire, ma utile anche per chi questo filone musicale lo in-segue già da tempo

per conoscere il mondo di ABASTOR [oddzine per un pubblico raffinato e sensibile] consiglio una visita al sito di riferimento.

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26 01 2005

KOOLHAAS > OPERETTE FORMALI - TRADI/UZIONI EPOCALI
[due progetti recenti di O.M.A]

[---] a un certo punto si parla di koolhaas, e disquisendo di utilità sociale metto in discussione il valore di uno strumento quale S,M,L,XL, troppo confusionario e di fatto tendenzioso per poter risultare comprensibile al lettore medio. tento di scindere l'operazione progettuale dalla comunicazione sebbene mi renda conto in partenza che non vi è una grande differenza tra alcuni dei lavori realizzati e la struttura del grosso volume antologico che classifica l'attività dei primi vent'anni di professione dell'architetto olandese sotto forma di glossario epocale. devo riconoscergli l'ineguagliata capacità di interpretare fattivamente l'epopea della comunicazione avanzata e del delirio iconografico, attraverso grandi progetti quali il negozio prada a new york o la biblioteca pubblica di seattle, ma anche mettendo a punto un nuovo insieme di regole grafiche per la fruizione del materiale testuale ed iconografico. sembra proprio che abbia voluto concepire una [grazie al cielo non l'unica!] nuova maniera di intendere la comunicazione, maggiormente appropriata rispetto ai nuovi media ed ai cambiamenti qualitativi e quantitativi che sono subentrati nell'ambito dell'estetica editoriale con l'avvento delle nuove tecnologie per la produzione e manipolazione delle immagini.
[operazioni affini vengono svolte da professionisti come diller+scofidio, anch'essi abili compilatori di materiale il cui apporto risulta di fatto appannaggio degli addetti ai lavori, sebbene in questo caso la progettazione architettonica si riduca di molto lasciando spazio a sperimentazioni che sconfinano nell'arte pura].
ma vi è un aspetto del lavoro di rem koolhaas su cui vorrei focalizzare l'attenzione, e riguarda il passaggio da una progettazione tradizionale [che vedeva nel "bello", nell'ordine e nell'armonia, postulati generali quasi imprescindibili per l'architetto], a un'indagine progettuale capace di sovvertire tali principi per evolvere un linguaggio maggiormente legato all'idea di contemporaneità ---> contemporaneo come qualche cosa che parla dal ed al suo proprio tempo, identificandone i codici e i riferimenti estetici.
ancora una volta dunque l'architettura è una metafora allargata dell'uomo e della società, ma in questo caso sembra esser stato smarrito qualsiasi intento didattico e sociale per concentrarsi più pragmaticamente sull'idea di comunicazione fine a se stessa. e sebbene il negozio prada sia una metafora della città trasportata in uno spazio interno, questa metafora possiede la stessa inestricabile gerarchia degli spazi metropolitani attuali, stratificati e spesso caotici, di difficile lettura e contraddittori. ne risulta un interessante concentrato di attualità metropolitana che mi affascina per l'assoluta secondarietà dell'idea di bello e di morale: ciò che colpisce infatti è il lusso nelle sue ormai imprevedibili declinazioni e l'asservimento alla tecnologia per la realizzazione di grandi scenografie. a tratti mi sembra di osservare l'interno di un gigantesco computer, dove l'estetica è fortemente condizionata dalla tecnologia e mi rendo conto che quella stessa tecnologia è ormai un elemento di riconoscibilità [e di idoneità]. così nel negozio prada koolhaas recupera alcuni elementi urbani [le gabbie in ferro, le grate stradali e le grandi scalinate degli edifici pubblici] mescolandole e combinandole con materiali inediti e contraddittori, numerosi, grafici. lo stesso accade nella grande biblioteca pubblica di seattle, da poco completata, dove gli spazi verdi vivono una dimensione a cavallo tra realtà e rappresentazione, mentre la segnaletica segue parametri più vicini a quelli della nuova editoria che di matrice spaziale. vi è di fatto una disinvoltura disincantata anche se mai del tutto scontata, anzi, contraddetta da sottili giochi estetici [concepire le cassettiere del reparto cosmetico del negozio come arredi algidi e inquietanti di una farmacia, oppure glassare il cemento grezzo con smalti ultralucidi che smentiscono l'aspra superficie su cui vengono stesi]. un lavorio quasi maniacale per togliere senso al già visto e restituirglielo immediatamente dopo attraverso una determinata alterazione delle regole, perchè la progettazione non dovrebbe mai cedere alla stanchezza.


da SMLXL
1995
ISBN 3-8228-7743-3

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29 01 2005
L'ESSERE E IL NULLA > SUPPORTI O PARAVENTI?

[---] e a scrivere un post in word, per dire, sarà un problema mio, non ci sono mai riuscito. [antonio sofi su webgol]

viviamo un tempo di gente così viziata dai lussi tecnologici, che non è più importante la necessità di dire qualche cosa, quanto lo strumento [passivo per definizione] scelto per dirla? ... questioni puramente tecniche e capricci informatici condizionano la comunicazione, il che la dice lunga sulla qualità ma soprattutto sulla necessità di riversare in rete il marasma di parole di cui quotidianamente vengono rinzeppati i blog.

[---] un post covato troppo diventa come la prima pagina di un libro: ci tieni, insomma, e non va bene [macchianera]

...che blog e libro siano due universi separati e per certi versi contrapposti posso anche essere d'accordo [solo in linea di massima comunque], ma perché mettere così tanti paletti alla scrittura, come se ancora una volta fosse più importante la forma della sostanza, il supporto del messaggio? come se un post bello, epico, consistente e quasi cartaceo, fosse negletto in un mondo fatto di scrittura effimera e il più delle volte [diciamocelo] scadente, e di contenuti ridotti al minimo, che sono informazione e non cultura [grande viatico del nuovo millennio: evitare il più possibile la cultura perché fa male, ci porta a scrivere "come sui libri" e i nostri post potrebbero diventare epici...]

in tutto questo il grande attore pare essere il TEMPO: non c'è più pazienza nelle nostre giornate, né capacità di coltivare un pensiero e la sua espressione come se fosse una piccola pianta. bisogna esternare, mettere in mostra, consumare qualsiasi pensiero anche se non maturo. l'importante è la pubblicazione.
società dell'infomazione effimera quindi, ma soprattutto dell'INFORMAZIONE ESIBITA. va da sé che è necessario correre il rischio [...pare più una logica conseguenza] che il risultato sia quasi sempre al di sotto del livello minimo di qualità, non essendoci decantazione, né distanza.

qualcuno potrebbe tirare in ballo il buon giornalismo, da sempre basato sulla freschezza editoriale e sull'immediatezza della scrittura: sinceramente non credo che sia tutto e sempre riconducibile a simili principi. i giornali dovrebbero esser frutto di un mix sapiente di scrittura immediata e di note ponderate, e solo chi possiede una grande cultura o un particolare talento di scrittura unito a un altrettanto particolare spirito, può di fatto partorire con sufficiente continuità note che vivano di pura immediatezza.
i blog, nella maggioranza dei casi, non hanno nulla a che vedere con il giornalismo [lasciamo pure da parte il "buon"]: rappresentano infatti quasi sempre testimonianze di scrittura mediocre e quel che è peggio di contenuti mediocri, che potrebbero rimanere tranquillamente inespressi senza che se ne avverta la mancanza.

rimane di fatto un'altra questione: se word riesce a fermare il nostro slancio espressivo non dovremmo interrogarci sulla necessità di scrivere in quel dato momento o quel dato pensiero? non si tratta infatti di strumenti musicali che non siamo in grado di suonare e che quindi non possono aiutarci a compilare una data melodia, né di un vezzo estetico legato al fatto che il prodotto finale possa esser diverso a seconda dello strumento usato; parliamo di supporti alla scrittura che siamo perfettamente in grado di sottomettere alla nostra volontà intellettuale e che producono un identico prodotto finale: il famigerato post [dietro al quale si spera sempre che si nasconda un'idea forte almeno quanto la scrittura stessa].

...e d'altro canto può un semplice capriccio formale bloccare la nostra espressività?

visti da qui paiono interrogativi senza risposta

 

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29 01 2005

MAGICAL BOX

mentre la tv del dopo pranzo ronza in sottofondo, mi vengono in mente le parole di simona ventura, che domenica scorsa, durante la conduzione di quelli che il calcio, ha difeso accaloratamente il presunto valore dei reality show, inalberandosi per il fatto che questi siano stati esclusi dal concorso per gli oscar della televisione.
[la ventura si è inoltre dichiarata solidale con fiorello, indignato per non aver ricevuto alcun premio per stasera pago io, il suo ultimo spettacolo del sabato sera
: ...ma c'è davvero così tanto di cui stupirsi? per una volta mi è rimasto simpatico daniele piombi, che molto schiettamente ha spiegato come l'ultima edizione dello show non fossa stata all'altezza delle precedenti e che per questo non era stata insignita di alcun premio!]
ora: è davvero possibile non notare quanto spazio abbiano sottratto alla televisione trasmissioni di scarso spessore come i reality show, ed è davvero così assurdo denunciare il fatto che implicitamente questo significa spazio sottratto ad una potenziale qualità televisiva?
dopo il via dato dal grande fratello, negli ultimi anni i programmi "verità" spuntano come funghi, sono un fenomeno incontrollato, al punto che a volte mi capita di accendere la tv e notarne uno nuovo in onda già da tempo e di cui non sapevo nulla, nonostante la mia abituale frequentazione del mezzo televisivo...
in questo momento su raiuno è in onda ritorno al presente, reality stile ottocento campagnolo [o forse vorrebbe essere un'evocazione del medioevo?], protagonisti tra gli altri sandra milo, andy luotto e la gegia. pochi giorni fa è ripartita music farm e domani sera ricomincia la fattoria. nel frattempo campioni continua su italiauno. [tra parentesi, sandra milo è davvero mostruosa, al limite dell'icona trash: una donna senza forma, l'ombra rigonfia di ciò che è stata in passato].
insomma, il fenomeno ricalca da vicino quello dei centri commerciali, sorti dapprima intorno alle città maggiori e poi proliferati senza controllo a tempestare le nostre campagne deturpando il panorama.
osservo: il primo pomeriggio televisivo è un concentrato di aberrazioni e casi umani, a partire dall'italia sul due per arrivare al medievale quanto geniale [per come sa far presa su una certa fascia di pubblico] uomini e donne della de filippi su canale 5, dove il rituale del corteggiamento cui si sottopongono i protagonisti del gioco mette in luce la misera condizione culturale ed intellettuale dei partecipanti, in assenza di qualsiasi anche minimo brandello di dignità e di spessore critico.

...una scatola più magica che mai, questa nostra tv, per come riesce a scongiurare anche la più microscopica minaccia di una miglior qualità estetica e culturale!

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05 04 2005

vorrei scrivere di un corpo che ha perduto i suoi odori, neutralizzati da profumi e antiodoranti. stigmatizzati insieme ad ogni altra imperfezione che restituisca la naturalezza dell'essere umani e in quanto tali irrisolti...

capelli tinti, epidermide schiarita desquamata purificata, levigata da creme che al tocco si trasformano in ciprie sottili, mimetiche.

marshall mc luhan parlava di protesi- già parecchie decine di anni fa, ma oggi mi pare del tutto inopportuno il nostro disquisire tipicamente occidentale, in merito a un corpo che non possediamo più, e che vive sublimato, al di là di se stesso, privato in parte della sua fisicità. il corpo si è dunque trasferito nella bidimensionalità delle fotografie, o è migrato dentro la scatola mistificatrice della tv. è un corpo impeccabile: fotoritoccato, patinato, confuso e levigato da riflettori e filtri.
molti vogliono assomigliare a quello che vedono attraverso i media, vogliono che il loro fisico sia sottile ed inodore, profumato piuttosto, di fragranze condivise. a volte dimenticano quasi completamente la sua dimensione reale, corporea, per concentrarsi esclusivamente sulla proiezione mediatica.

le protesi di cui ha parlato enrico bianda su webgol qualche giorno fa costituiscono un potenziamento della parte artificiale a discapito di quella naturale ... ma proprio per sfuggire a questo smarrimento -perché non proviamo invece a indirizzare la nostra attenzione su quello che succede al di fuori del nostro sofisticato fazzoletto di terra occidentale ed egotistica?
proviamo a pensare quanto siano assurde le nostre elucubrazioni socio-mediatiche, e riduttive, se messe a confronto con il numero esorbitante di persone che non hanno mai visto un computer o un telefono cellulare, ed il cui corpo possiede ancora la sua [drammatica] mappa personale: mappa di odori, dolori, cicatrici e miserie.
quanti di loro non si sono mai visti in fotografia, mentre qui il delirio digitale ha provocato al contrario un moltiplicarsi del corpo al di fuori di se, nel tentativo di assomigliare sempre più alle icone che vivono dentro alle riviste! ritratti e scorci di noi e dello spazio che ci fascia, ridondanti e sempre meno presenti, concentrati come siamo su questa avventura metafisica al punto da perderne di vista i limiti e le controindicazioni.

tempo fa lessi sul blog di milton un'interessante nota sull'egocasting: ebbene, devo riconoscere che in qualche misura questa perdita della corporeità occidentale ha molto a che fare con l'assenza di un confronto reale, conseguente anche ad un incalzante narcisismo-onanismo [sotto]culturale. confronto che le nuove modalità di interazione e comunicazione rendono sempre più debole e presunto. siamo convinti a priori delle opinioni dell'altro così come tendiamo sempre più spesso ad attribuirgli una fisicità basata su pure supposizioni. si potrebbe dire che l'interlocutore virtuale è l'ennesima protesi, questa volta di natura mentale, proiezione di una serie di desideri e fragilità atti a proteggere e tutelare il processo di torpore critico che nel frattempo va consolidandosi ed intaccando nuovi aspetti della nostra quotidianità

siamo davvero compiaciuti e così compresi in questo nostro paradiso- culturale, gradevole e multiaccessoriato, da non renderci conto che da anni ormai usiamo gli strumenti che la tecnologia ci offre senza quasi mai proiettarci al di fuori dall'universo ristretto che ci avvolge e ci protegge, svilendone o trascurandone le potenzialità di natura socio-culturale. così che alla fine, quegli stessi strumenti che sembrano potenziare il nostro corpo ed estenderci oltre noi stessi non fanno, nella maggioranza dei casi, che impoverire gradualmente la nostra autonomia funzionale ed intellettuale, creando una dipendenza da comodità del tutto supeflue e allontanandoci da un modo di vivere meno sofisticato ma anche maggiormente autonomo e realista.


[---] un'estensione sembra pertanto l'amplificazione di un organo, di un senso o di una funzione che ispira il SNC al gesto autoprotettivo di ottundere l'area estesa, almeno per quanto concerne l'ispezione e la consapevolezza diretta
[---]

[---] forse il dono più significativo che la tipografia fece all'uomo è quello del distacco e del non coinvolgimento, il potere di agire senza reagire [---]

MARSHALL MC LUHAN

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CIÒ CHE HAI NEGLI OCCHI NON BASTA PIÙ...

[---] non mi basta, però.
perchè non è solo una questione di cristallizzazione di una emozione, di "un'epoca che sente" attraverso le immagini, per usare le parole di covacich - ma di "un'epoca che ricorda" attraverso le immagini.
mi aiuta susan sontag. nel suo davanti al dolore degli altri scrive che le fotografie oggettivizzano: trasformano un evento o una persona in qualcosa che può essere posseduto. [---]

dal post di antonio sofi su webgol del 05.04.2005


...CIÒ CHE HAI NEGLI OCCHI NON BASTA MAI.
LA MASSA NON HA MEMORIA

mi sento di controbattere all'affermazione di sofi, contenuta nel post dedicato alle foto scattate durante le esequie papali, trovandomi invece maggiormente d'accordo con le parole di covacich, che fa riferimento all'emozione quale parte di un complesso rito mediatico, che non necessariamente prevede l'esistenza di valori profondi e la conseguente necessità di sedimentare il vissuto attraverso la memoria..
è ben diverso infatti affermare la logica di una sensazione traslata, dal sancire uno slittamento della memoria verso appendici iconografiche digitali: non penso affatto che quello digitale [inteso fotograficamente] rappresenti un archivio funzionale a una conservazione più consapevole del vissuto, quanto piuttosto che esso sia il risultato dell'espletazione di un rito di appartenenza, in quanto tale spesso rispettato nella massima incoscienza del suo senso profondo.
presenziare a un evento di tale portata non significa dunque conservarne necessariamente un ricordo consapevole quanto piuttosto diventare parte di un universo folclorico che fa della sensazione fine a se stessa [quale massima espressione dell'effimero] la sua regola primaria. la fotografia intesa come testimonianza durevole e strumento di approfondimento perde quindi di valore, anzi, potrebbe rappresentare un intralcio morale alla rapida cancellazione di ogni evento per sostituirne un altro, come abbiamo visto succedere nel corso degli anni. di conseguenza, questo magma di immagini costituito da miliardi di pixel per lo più inconsapevoli e casuali non vuole affatto fissarsi nella memoria, anzi, vuole vibrare riflesso nella moltiplicazione parossistica di se stesso ed estinguersi quindi per cancellazione, pur continuando forse a sopravvivere quale materiale inerte all'interno di floppy o hard disk gestiti nella maggioranza dei casi all'insegna dell'eterno dilettantismo e dell'incoscienza.

è un atto di protagonismo apparente quanto presuntuoso: la massa infatti non è nemmeno consapevole delle potezialità del medium [non importa capirlo, basta possederlo], ma è al contrario succube del rito in se stesso e della necessità di esplicitare superficialmente l'appartenenza > appartenenza mediatica che si esprime anche attraverso la tecnologia.
l'esternazione emotiva è parte integrante di questo fenomeno di isteria collettiva, che vede le masse accorrere a celebrare un evento senza interrogarsi su quale sia il suo valore reale.
esiste una sorta di bulimia, che spinge le persone a nutrirsi di immagini ed eventi espellendoli peraltro senza averli metabolizzati, nella necessità di fagocitarne di nuovi. gli strumenti appendicolari- che potenziano le nostre facoltà di ricezione non sono altro che amplificatori di un orizzonte mediatico di cui si vuole far parte e che ci si illude di possedere in modo indiretto attraverso queste protesi tecnologiche.
ogni nuova fotografia cancella il ricordo di quella precedente. è materiale che si accumula dando vita a un ricordo inespressivo, ma l'importante è lo scatto, che comprova l'esser stati parte di qualcosa. ed allora l'oggettivizzazione di cui parla la sontag non è affatto memoria, quanto piuttosto esplicitazione passiva di un atto di presenza [altrettanto passivo?], dove i contenuti sono esclusivamente strumentali a testimoniare esibizionisticamente la propria apparizione sulla scena.


[---] la distrazione ed il raccoglimento vengono contrapposti in un modo tale che consente questa formulazione: colui che si raccoglie davanti all'opera d'arte vi si sprofonda; penetra nell'opera, come racconta la leggenda di un pittore cinese alla vista della sua opera compiuta. inversamente, la massa distratta fa sprofondare nel proprio grembo l'opera d'arte. [---]
WALTER BENJAMIN

 

udine 11 04 2005


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BAGLIORI CARNICI

TREPPO CARNICO - MUNICIPIO

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GINO VALLE IN CARNIA
Galleria d'Arte Moderna Enrico De Cillia
Treppo Carnico UD
2 luglio - 25 settembre 2005
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Si è aperta sabato 2 luglio a Treppo Carnico la prima mostra dedicata all'architettura di Gino Valle dalla data della sua scomparsa, avvenuta nel 2003. La mostra raccoglie disegni originali e fotografie dei progetti realizzati in Carnia tra gli anni cinquanta e gli ottanta, e si sviluppa su due piani, all'interno della pinacoteca Enrico De Cillia [dove le incongruenze degli spazi espositivi, rimodernati in maniera alquanto discutibile in tempi recenti, sono state sapientemente mascherate attraverso un allestimento spartano quanto efficace].

L'apertura della mostra è stata accompagnata da un convegno dedicato ad Architettura Contemporanea e Montagna: professionisti di fama internazionale hanno potuto offrire interpretazioni varie in merito all'approccio progettuale in contesto montano, offrendo interessanti spunti di riflessione, sia su aspetti di natura tipologica che su questioni a carattere maggiormente concettuale [come nell'intervento di Alessandro Rocca, incentrato sulle possibili declinazioni di concetti quali montagna, altitudine e dislivello, anche in ambito artistico, a sottolineare il frequente assottigliarsi dei confini tra le varie discipline].
L'architetto sloveno Vojteh Ravnikar ha invece tracciato un toccante omaggio a Gino Valle attraverso l'analisi del monumento alla Resistenza di Udine e la tomba Pasolini a Casarsa. Hanno parlato inoltre Peter Lorenz da Innsbruck e Bruno Reichlin da Ginevra.
Il convegno è stato curato da Giovanni Corbellini [università di architettura di Trieste] autore tra l'altro della bella introduzione al catalogo delle opere presenti in mostra [Navado Press].

L'accento va posto sul sostegno offerto da amministrazione comunale, regione ed enti provinciali a un ristretto gruppo di professionisti, che con grinta e determinazione hanno saputo realizzare un progetto in grado di dimostrare la possibilità di portare avanti iniziative di ottimo livello [e senza esborsi eccessivi!] anche in territori per definizione marginali, che si confrontano troppo spesso con eventi di scarso spessore e condizionati da un'anacronistica patina folklorica.
La possibilità di proporre la contemporaneità all'interno di un contesto montano riguarda infatti non solo le problematiche dell'architettura, ma il complesso delle operazioni legate alla cultura ed alla comunicazione: in genere le amministrazioni tendono a precludere o bocciare una serie di cambiamenti, nel tentativo ingenuo quanto deviante di preservare forzatamente una tradizione formale, all'interno della quale vengono imprigionate e spente molte opportunità di evoluzione e innovazione.
Le architetture di Gino Valle hanno dimostrato e continuano a dimostrare, anche a distanza di molti anni, che non è affatto necessario ubbidire a regole predefinite e piegarsi a logiche vernacolari incapaci di cavalcare i cambiamenti epocali: la progettazione vive di un rapporto reale e dinamico con lo spazio circostante, anche quando trasgredisce o introduce trasformazioni radicali.
Così le opere carniche di Valle, oltre ogni apparente cesura formale, rivelano [cito Corbellini] insospettata duttilità e amichevolezza, frutto di una profonda considerazione del luogo e delle sue prerogative.

Ma se per i professionisti presenti risulta scontato che la buona progettazione rappresenti un veicolo di socialità e cultura, dà da pensare il fatto che la platea fosse composta quasi esclusivamente da specialisti del settore, a dimostrazione di quanto ci sia ancora da lavorare per coinvolgere la popolazione nel dibattito architettonico. Se simili esperienze venissero promosse con maggior frequenza, magari con il diretto coinvolgimento di scolaresche e popolazione locale, le cose potrebbero - forse - cambiare almeno un poco...

udine 05 07 2005

CASA QUAGLIA TERME DI ARTA KURSAAL


FOTO GRANDE:
Municipio di Treppo Carnico (UD) 1956-58

FOTO PICCOLA 1:
Casa Quaglia Sutrio (UD) 1953-54

FOTO PICCOLA 2:
gino valle di fronte allo Stabilimento termale di Arta Terme (UD) 1960-64
[ph. Fulvio Roiter]

FOTO PICCOLA 3:
Kursaal Arta Terme (UD) 1975-78

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200705

HIC ET NUNC
> QUANDO IL CONTENITORE SUPERA BRILLANTEMENTE IL CONTENUTO

intendo dedicare alcune righe a hic et nunc 2005, rassegna di arte contemporanea che ha chiuso i battenti un paio di giorni fa e che son riuscita fortunosamente a visitare grazie al pretesto del passaggio in città di due cari amici portoghesi.
si tratta della mia prima visita alla manifestazione curata da angelo bertani ormai da molti anni, e che interessa varie sedi espositive sparse all'interno del perimetro urbano di san vito al tagliamento.
come succede da tempo il mio è un approccio privo di aspettative, consapevole ormai di quello che [non] è in grado di offrire il panorama dell'arte contemporanea, soprattutto in regione [...quanto tempo da che ho potuto visitare una mostra che mi abbia entusiasmata ed emozionata?].
ma in questo caso le sedi espositive erano di tale qualità da rendere del tutto trascurabile il valore dei prodotti in mostra, offrendo l'opportunità di vistare spazi altrimenti impraticabili con una compresenza di pubblico moderata ed affatto molesta.
vi sono state in verità, alcune interessanti parentesi artistiche: su tutte il documentario di jens salander e mikael strömberg su prora resort*, che sposta il baricentro verso argomenti e soluzioni estetiche di maggior sobrietà e consistenza, finalmente libere da ogni leziosa contaminazione pop, tanto in voga di questi tempi, e POMeCA, il parco di arte contemporanea e moderna di dragana sapanjos, che giocosamente riunisce in un unico documento tridimensionale [un plastico laccato di bianco sospeso ad altezza di sguardo] alcuni passaggi significativi della produzione artistica, a partire da duchamp fino a warhol, acconci e koons.

*all'interno di una interessante raccolta di video proiettati nell'ex falegnameria dell'antico ospedale dei battuti

il giardino di palazzo rota ospita alcuni lavori che tentano inutilmente un dialogo con la natura, imitandone maldestramente i colori e i toni attraverso un uso pedissequo dei materiali, in un anacronistico tentativo di mimesi dalle sfumature freak. anche in questo caso ci sorprende positivamente lo spazio affascinante del parco, che conserva angoli di decadenza e trasporta i visitatori in una dimensione estranea alla contemporaneità, che solo a tratti ritorna al presente per interventi spontanei e forse barbarici, come i graffiti dei ragazzi sui tronchi degli alberi o le scritte dipinte a pennarello sul tavolo di pietra che staziona in un angolo ombroso.

ci pare, a un tratto, di percepire un eco delle nostre voci, e pensiamo a uno scherzo di theo teardo e della sua installazione che propone sovrapposizioni sonore inaspettate grazie a numerosi microfoni nascosti in giro per la città.
terminiamo la visita con la tappa fuori porta di villa casa bianca, dove ci attendono inconsistenti lavori della fauna artistica locale [brizzi, pers+pers, spizzo, etc]; anche qui il tramonto che indora il compesso di costruzioni rurali e gli edifici semi abbandonati restituisce un'atmosfera capace di farci dimenticare le insignificanze culturali per concederci una passeggiata tra vigne e pompe di benzina, immersi in un paesaggio che ricorda certi scorci pasoliniani di tanto tempo fa.

così, al di là di qualsiasi pretesa, il giudizio finale sulla rassegna d'arte contemporanea risulta essere altamente positivo, in primis per aver spalancato i cancelli di luoghi altrimenti fuori portata ed in secondo luogo per aver saputo incastonare all'interno di un panorama artistico di desolante mediocrità, due o tre lavori di innegabile spessore e di nobile leggerezza.
il tutto sintetizzato e commentato in un catalogo dal prezzo ammirevolmente popolare di 5 euro!

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27 agosto 2005
UNA GITA VENEZIANA - I

reduce da una visita alla mostra veneziana di lucien freud, ed a quella - minima - di kiki smith alla fondazione querini stampalia.
dovrei parlare dei dipinti e dei lavori, ma sento il bisogno di premettere una breve nota sulle attuali condizioni della fondazione [mancavo da quasi tre anni], che si è trasformata in una macchina commerciale, dove il bookshop e la caffetteria [ristrutturazione recente di mario botta] sembrano essere i perni attorno ai quali si sviluppano le altre attività, i presunti "indicatori di modernità".

il silenzioso giardino zen di carlo scarpa è stato in parte occupato dagli ombrelloni e dai tavolini del bar, proprio nella zona sottostante le vecchie sale della biblioteca, da cui durante la bella stagione era possibile ascoltare attraverso le finestre aperte l'impercettibile gocciolare dell'acqua e il raro smuversi del ghiaino. ora tutto questo è stato sostituito dal brusio dei turisti e dal rumore di piatti e tazzine, e dalle finestre ai piani superiori la vista di quegli ombrelloni aperti a castrare una parte del giardino dev'essere davvero mortificante.
il vecchio progetto del maestro e le aggiunte di valeriano pastor [va ricordato il suggestivo e un po' visionario cavedio con gli oblò che si aprono nella tondeggiante e articolata parete lignea a tutta altezza] sono dunque affiancati dalle prosaiche quanto deboli aggiunte di botta, che privano il visitatore della possibilità di godere le atmosfere intime e senza tempo studiate con amore da carlo scarpa nel progetto originale. persino il vecchio ingresso, con il ponticello zoppo in ferro, legno ed ottone, è stato abbandonato: ora l'accesso avviene da campo santa maria formosa e la vecchia porta, ricavata nel vano di una finestra, è tristemente sbarrata.

al secondo piano della fondazione una serie di stanze ospitano fino all'11 settembre una piccola mostra curata da chiara bertola dell'artista americana kiki smith. homespun tales, storie di occupazione domestica [è il titolo dell'installazione] si ispira agli interni tradizionali veneziani e ne offre una personale reinterpretazione attraverso una presa di possesso dello spazio, che però troppo spesso mi pare sfoci in un lavoro eccessivamente formale, dove si stenta a leggere l'elegante capacità grafica e comunicativa della smith, ottusa da una patina naive che ne indebolisce notevolmente la carica espressiva.
di certo alcuni spunti sono coreografici, come il grande tavolo scuro realizzato con cassette di vini su cui "passeggiano" lievi statuine in candida porcellana grezza, e colpisce la costante ricerca del dettaglio che però in alcuni casi scade nella decorazione fine a se stessa e forse eccessivamente folklorica. le stanze un po' algide ristrutturate di fresco dell'ultimo piano del palazzo non aiutano in questo tentativo di ripercorrere la domesticità venexiana e per riprendere contatto con la dimensione locale bisogna alzare lo sguardo verso le altane e i tetti di san marco.

immagini dell'installazione di kiki smith da illi.com

dove non segnalato altrimenti le immagini sono tratte dal sito della fondazione querini stampalia di venezia]

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300805
10.04 am
VENEZIA 2: UNA MOSTRA DI LUCIEN FREUD

arrivare a venezia e ritrovarmi nella mia città senza di fatto avere un posto dove fare pipì o togliermi le scarpe e buttarmi sul letto a riposare mi fa sentire a disagio, come se ormai fossi parte di quell'impasto umano che intasa le calli e vaga senza sosta. è una sensazione nuova che non sono capace di gestire. mi provoca stanchezza e male ai piedi [ho stupidamente indossato un paio di sandalini anziché delle scarpe da passeggio, come se fossi uscita per sbrigare delle commissioni e non per camminare tutto il giorno da un museo all'altro! à anche questa è una svista dovuta all'eccessiva familiarità con il luogo: mi comporto come se ancora gli appartenessi, ed invece ne sono stata espulsa ormai da molto tempo].

al correr mi aspetto una coda di almeno mezz'ora ed invece tutta la gente è per strada, mentre i musei sono quasi vuoti. la mostra presenta novanta lavori tra quadri e incisioni di lucien freud, pittore tedesco nipote del famoso sigmund, nato a berlino nel 1922 e successivamente naturalizzato inglese.
è di certo una grande occasione, e devo dire che l'aspettavo da tempo. sono in realtà molto attratta dai pochissimi lavori che non prevedono la presenza della figura umana, forse perché quest'ultima finisce per conferire all'insieme una retorica maggiore.
di fatto le capacità del pittore sono impressionanti, mi colpiscono soprattutto i primi lavori dove il dettaglio è talmente preciso da sfiorare l'iperrealismo.
tra parentesi, mi è stato detto che per ragioni di spazio non sono stati esposti tutti i dipinti presenti alla tate gallery nelle grande mostra antologica del 2002 [URL], ed in effetti mancano senz'altro alcuni lavori importanti ed altri meno conosciuti che però avrei voluto vedere da vicino [come per esempio two plants, un olio della fine dei settanta che mi ha sempre affascinata per la sua qualità fotografica unita al peculiare trattamento della luce, tipico di freud].
una cosa è certa: i suoi sono dipinti che vanno visti dal vero, tanta è l'importanza della tecnica e della superficie pittorica. anche quando la pennellata diventa materica, ed il segno da descrittivo si fa evocativo, permangono preziosi trattamenti della superficie, che contribuiscono magistralmente alla resa finale. la pennellata è sapiente e rigorosa: osservando le tele da vicino noto che ogni passaggio del pennello segue un ordine preciso e non sfugge a una disciplina generale.

il percorso evidenzia alcuni riferimenti importanti, quali schiele e bacon, con cui freud intrattenne una lunga frequentazione testimoniata da schizzi e ritratti [in mostra solo un piccolo ritratto del 1956]. vi è in lui una tensione verso la carne [andar oltre la superficie] solamente accennata, che si concentra prevalentemente sui volti, nei quali spesso la pennellata si scioglie [come in "Interior with Plant, Reflection Listening" del 1967-68], senza sfociare però nel disfacimento baconiano; ugualmente non trovo qui la stessa carica concettuale del maestro inglese scomparso, che ai temi autobiografici seppe sovrapporre una più profonda evoluzione del discorso pittorico e forse anche una più significativa carica esistenziale.

rimangono per me alcune questioni in sospeso, in primis l'enigma della luce, che freud tratta spesso con suggestiva ambiguità [o forse con una sensibilità trascendente].
inoltre dai quadri si ricava una sospensione temporale che priva l'osservatore di un calendario certo di riferimento, e questo aspetto del lavoro mi irrita e mi affascina al tempo stesso, provocando una sorta di spaesamento.
infine, mi rendo conto che esiste un processo di progressiva stabilizzazione, vale a dire che sempre più il pittore investe nel ritratto piuttosto che nella ricerca pittorica, per cui il lavoro risulta in fondo una ripetizione, seppur a tratti sublime, di se stesso, dove la vita è dei/nei personaggi e non nel discorso pittorico complessivo, come poteva succedere agli inizi.

uscita dalla mostra, e dopo il passaggio alla fondazione querini di cui ho già scritto nei giorni scorsi, ho optato [dimenticandomi completamente di lucy e jorge orta alla bevilacqua la masa] per una visita alla chiesa di san stae, dove sul soffitto a volte è proiettato un video di pipilotti rist.
la mia accompagnatrice e cara amica, approfittando della penombra e dei soffici lettini su cui ci si stende per assistere alla proiezione, si è concessa un sonnellino, giustificata in pieno dalla musica e dal susseguirsi di immagini bucoliche dove testicoli, papaye e nudità femminili che corrono nel verde si avvicendano in un monotono [ma cromaticamente intenso] racconto hippie. non aggiungo altro...

a la procheme, con un resoconto settembrino sulla biennale di venezia

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