monthly archives: febbraio 2010
molti oggi parlano di questo nuovo manifesto di rifondazione e i toni del dibattito sono i più disparati / per quanto mi riguarda, un po’ come per tutto il resto in quest’ultimo periodo, le mie reazioni in merito sono complesse, confuse e sottocutanee / ecco – c’è della disperazione autentica in quell’immagine, il senso di essere arrivati alla frutta, di non saper trovare più nemmeno le intelligenze necessarie a costruire una buona campagna pubblicitaria / vorrei ricollegare questo episodio alla mia recente esperienza con la sinistra locale in merito alla progettazione di un logo per le scorse elezioni comunali: in quell’occasione l’arroganza dei dirigenti (o presunzione, o qualche loro limite della visione, chissà?) prevalse sul dialogo e sulla collaborazione con il professionista incaricato (me), conducendo ad un risultato grafico mediocre e poco convincente / mi ero offerta volentieri di svolgere il lavoro e senza retribuzione, ma di fatto i dirigenti non cercavano altro che un mero esecutore di qualcosa che loro ritenevano essere già deciso e definito / perciò i miei pensieri in merito al diavolo veste rifondazione sono stratificati e forse leggermente traslati rispetto alla bagarre in corso: mi interesserebbe di più mettere a fuoco una critica alle radici, che incaponirmi contro una singola defaillance, e mandare un messaggio ai vari organi di partito riguardo al fatto che quello che spaventa di più non è tanto la bruttezza del manifesto, ma tutte le sottili quanto emblematiche forme di ignoranza, clientelismo e prevaricazione che ci sono dietro e che sottendono un gran vuoto / |
anni fa proposi agli organizzatori di un festival locale di arte contemporanea un piccolo progetto / si trattava di raccogliere in una scatola alcuni capelli dei visitatori (consenzienti) e piccoli frammenti prelevati dal loro vestiario (fili, bottoni, etichette, passanti, lacci di scarpa) annotando per ciascuno su un quaderno il nome di battesimo e l’anno di nascita / avrei ricamato in diretta un lenzuolo bianco utilizzando i fili e capelli raccolti, realizzando un panno della memoria legato a quell’evento specifico / niente di trascendentale – niente a che fare necessariamente o solo con la bellezza – piuttosto con il passaggio, la presenza e la permanenza / il progetto fu rifiutato / ma mi è tornato in mente un paio di giorni fa leggendo su alias l’articolo dedicato al nuovo progetto di boltanski per monumenta personnes / monumenta 2010 a proposito di heartbeat /
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(anche)
ho fotografato l’età dell’innocenza
l’ho osservata camminare sul margine
ma le immagini migliori rimangono quelle non scattate /
a volte le trascrivo sul diario, per non dimenticare
poi c’era vento
c’è quasi sempre vento
scompiglia gli oggetti o i loro angoli
proprio quando sto per decidermi
il vaso si rompe in frantumi
altro esce
- scuola
- strada
- paul eluard
- andrea di consoli (qui)
..
ne scrivono da varie parti, con rammarico e dispiacere c’è bisogno di questo? oppure il genio consiste nell’operare una rivoluzione che conduca ad altri livelli di conoscenza e soprattutto di consapevolezza? questa visione individuale così ben interpretata da mcqueen non ha caso si conclude con una morte altrettanto individuale, che nulla spartisce con il mondo e che nulla di sostanziale cambia del mondo e delle sue verità urgenti allora lo dico, qui adesso oggi – la parola lusso mi disgusta |
ieri leggevo su femminismo a sud una lettera dedicata al razzismo di quartiere, che tocca il tema del difficile rapporto con quegli amici o conoscenti che esprimono posizioni di intolleranza o idee politiche in contrasto con le nostre / di questi tempi mi capita spesso e non unicamente in merito al razzismo – forse mi cava dall’impiccio il solo fatto di non intrattenere ultimamente relazioni significative con chicchessia e dunque potermi concedere il lusso codardo dell’isolamento e della defezione silenziosa ma ho inteso ugualmente la sgradevole sensazione di osservare i nodi impresvisti e insospettabili che vengono al pettine – e per nodi intendo il passaggio a un livello successivo di conoscenza del prossimo conseguente alla propria esposizione, alla compromissione personale anche minima, come nel caso di offrire degli spiccioli con cortesia e com-passione a un immigrato che chiede la carità in un bar proprio per questa ragione ritengo che in simili casi operare ulteriori rotture sia di scarsa utilità – mi trovo a disagio e perplessa di fronte alle posizioni estreme (anche e soprattutto la mia, quando capita) e una voce interna mi dice che sarebbe meglio parlare, beneficiare fino in fondo dell’occasione preziosa rappresentata dall’amicizia o dalla vicinanza, vivere il proprio quartiere come fosse una casa e parlare, scambiare le idee, confonderle e difenderle – non credo che esista altro modo, rispetto al contesto descritto nella lettera / davvero difficile trovare altra via per la costruzione – ma sono certa che la rottura intransigente andrebbe a generare ulteriori barriere, ulteriori solitudini per esempio, pensare che anche i vecchi sono persone che vengono discriminate ogni giorno e capire le loro fragilità e le loro idosincrasie significa provare a comprendere e rispettare le delicate questioni di entrambe le parti in causa (o delle tante parti in causa) – ho visto spesso la diffidenza sciogliersi là dove la conoscenza reciproca ha permesso di dissolvere le nebbie dell’ignoranza
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