rifondazione

molti oggi parlano di questo nuovo manifesto di rifondazione e i toni del dibattito sono i più disparati / per quanto mi riguarda, un po’ come per tutto il resto in quest’ultimo periodo, le mie reazioni in merito sono complesse, confuse e sottocutanee /
certo, non si può dire che sia un bel manifesto e nemmeno che restituisca un’immagine interessante della donna comunista / sembrerebbe piuttosto che la sinistra radicale abbia ceduto, si sia piegata ad una logica comunicativa più ordinaria e scontata, che mira al grande pubblico televisivo e commerciale / e proprio per questa ragione, quando ho visto il manifesto non ho provato rabbia o fastidio, ma una specie di angoscia silenziosa, un triste dispiacere, la sensazione dolorosa di un partito brancolante che non sa più quali pesci pigliare per resistere sulla cresta dell’onda, per non scomparire nell’invisibilità /

ecco – c’è della disperazione autentica in quell’immagine, il senso di essere arrivati alla frutta, di non saper trovare più nemmeno le intelligenze necessarie a costruire una buona campagna pubblicitaria /
si capisce bene che l’ignoranza sta arrivando a tarpare le ali della politica in vari modi e là dove un tempo (pensiamo agli anni 60) ci sarebbero state fior fior di intelligenze a disposizione per inventare slogan e apparati comunicativi (ci ricordiamo quanto erano efficaci e convincenti le grafiche italiane in quel periodo storico?), ora troviamo un branco di politici disorientati che non sanno scegliere e che forse nemmeno consultano le donne, prima di dare alle stampe una campagna tanto azzardata e di dubbio gusto /

vorrei ricollegare questo episodio alla mia recente esperienza con la sinistra locale in merito alla progettazione di un logo per le scorse elezioni comunali: in quell’occasione l’arroganza dei dirigenti (o presunzione, o qualche loro limite della visione, chissà?) prevalse sul dialogo e sulla collaborazione con il professionista incaricato (me), conducendo ad un risultato grafico mediocre e poco convincente / mi ero offerta volentieri di svolgere il lavoro e senza retribuzione, ma di fatto i dirigenti non cercavano altro che un mero esecutore di qualcosa che loro ritenevano essere già deciso e definito /
in tale occasione mi resi conto in prima persona di come sia cambiato il ruolo dei professionisti rispetto alla committenza (anche e forse soprattutto a sinistra) – quasi che il nostro presente in cui tutti scattano fotografie e tengono un blog autorizzi un cliente a un’espressione arrogante e soverchia del proprio gusto personale, dimenticando che in tutte le discipline sono necessari talento, studio ed esperienza per forgiare un buon professionista / questo può essere lecito nella scelta di un privato cittadino ma si trasforma in un danno nel caso di una questione collettiva, dove andrebbe cosiderato primario l’obiettivo di perseguire l’eccellenza, nella più piena considerazione della comunità di riferimento /

perciò i miei pensieri in merito al diavolo veste rifondazione sono stratificati e forse leggermente traslati rispetto alla bagarre in corso: mi interesserebbe di più mettere a fuoco una critica alle radici, che incaponirmi contro una singola defaillance, e mandare un messaggio ai vari organi di partito riguardo al fatto che quello che spaventa di più non è tanto la bruttezza del manifesto, ma tutte le sottili quanto emblematiche forme di ignoranza, clientelismo e prevaricazione che ci sono dietro e che sottendono un gran vuoto /
se i nostri politici non sanno essere umili nelle piccole cose, come possiamo sperare che lo siano là dove la posta in gioco è una poltrona e la conservazione del potere personale?
un tempo la chiamavano sinistra, ora stento a riconoscerla

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