Category Archives: culture

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Martin Munkacsi

  1. edmond jabès
  2. henry cartier-bresson
  3. louise bourgeois
  4. martin munkácsi
  • st: charlemagne palestine

 

bellissima toccante e moderna, offre qualcosa di diverso nel panorama delle serie tv – dalla sigla iniziale fino al font dei titoli di coda, con ricercate location in luoghi e architetture cult della los angeles storica e modernista

diretta da Jill Soloway e magistralmente interpretata da Jeffrey Tambor
disponibile su amazon in prime streaming

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LA CULTURA DELLA PROTESTA

19.01.2006 – Sofia
Due operaie sono morte in un mese in una fabbrica italiana di scarpe a Dupnitza. L’ispettorato del lavoro ha minacciato seri controlli sulle condizioni di lavoro nell’azienda. Ecco due frasi che per il lettore medio bulgaro suonano banali piuttosto che scandalistiche. Siamo abituati che le istituzioni e gli organi di controllo dello Stato intervengano sempre post mortem. Come se solo la morte fosse in grado di accendere la lampadina rossa nell’istituzione competente e di provocare una certa sollecitudine degli enti di controllo. Una simile mentalità condanna in questo caso l’ispettorato del lavoro di comportarsi come un carro funebre oppure come pronto soccorso fatalmente in ritardo, che arriva solo per accertare la morte del paziente.

Detto semplicemente, non è più facile e più normale che gli organi ispettivi facciano controlli seri nelle aziende quando i dipendenti sono ancora in vita? E’ un segreto di Pulcinella che in centinaia di aziende di scarpe e di abbigliamento, disperse nelle regioni di frontiera del paese, spesso a capitale straniero, le condizioni di lavoro non rispondono a nessuna legislazione sul lavoro. Si parla di orari di lavoro di 12, 14 o 16 ore, emissioni nocive, stipendi bassi. Si ammette che molti proprietari di simili aziende si sono comperati il diritto di non subire dei controlli.

Il problema però ha anche un’altra faccia. E in certo senso è la faccia più scura per la società. Nessuno o quasi nessuno dei lavoratori che si trovano in queste condizioni osa lamentarsi, protestare, segnalare agli organi oppure fare causa al datore di lavoro. La regola non scritta è che ogni malcontento viene pagato con la perdita del lavoro. E proprio in queste regioni, dove abbondano simili aziende, la disoccupazione è massacrante. Conosco una donna anziana dalla provincia che lavora in una stireria con una paga giornaliera di 1 (un) leva (cioè 0,50 euro circa). Ma è grata che ha un lavoro.

Vorrei scrivere che ci manca la cultura della protesta, ma prima di tutto dobbiamo ammettere che ci manca la procedura della protesta, provata e funzionante. Chi tra i lavoratori in queste condizioni può essere sicuro che la sua denuncia verrà analizzata in fretta, in maniera giusta e senza pesanti conseguenze per se stesso.

Un po’ di tempo fa un mio amico di è trovato in un negozio di abbigliamento particolarmente a buon mercato a Newcastle. Ha comprato vestiti al “chilogrammo”. Tornando a casa dalla famiglia di inglesi che lo ospitava, ha espresso la sua soddisfazione. I padroni di casa hanno subito indovinato di quale negozio si trattasse e hanno disapprovato, scuotendo la testa. Gli hanno detto che nessuna persona per bene acquista in quel posto, perché le merci provenivano da paesi dove viene impiegato lavoro infantile e femminile a buon mercato. Se non sbaglio, si trattava della Malaysia. Il mio amico si è sentito veramente a disagio e non si è mai messo quel capotto che ha poi regalato ad un senzatetto di piazza “Slavejkov” che a sua volta non voleva accettare perché era completamente nuovo.

Ci sono vari modi per protestare. E varie culture della protesta.

Fonte: dnevnik


SMOBILITAZIONE DELLE ARMATE AMOROSE

Si è accesa la sigaretta a quel modo,
da cui si capisce che tutto
è già deciso e ha detto:
è finita. . . mi sento come un’armata
in tempo di pace,
manovre su campi abbandonati,
esercitazioni infruttuose
sempre più lontano
da luoghi pieni di vita,
foglie, sterpi, fango, retrocortili,
come un fumatore tra gente che ha smesso di fumare,
come un amante tra chi ha rinunciato all’amore.
Oh, tu lo pensi da tanto, le dissi,
sembra una poesia.
A me spetta il finale, eccolo:
Io sono ferito leggermente,
ferito molto leggermente
e goffamente sanguinante
in tempo di pace.

[G. Gospodinov, Pisma do Gaustin, Plovdiv 2003, pp. 10-11, 23, 35.
Traduzione dal bulgaro di Giuseppe Dell’Agata]
Fonte: eSamizdat.it, che ringraziamo. Tutti i diritti riservati

georgi gospodinov


(grazie a roberto corsi per avermi fatto scoprire questi versi)

I
ieri guardavo con tristezza e un certo carico di delusione il video di patti smith e marlene kunz sul palco del teatro ariston, un’esibizione che a mio parere andrebbe presa e considerata ben al di là della sua riuscita artistica dato che il grande palcoscenico del mercato si sta inghiottendo via via qualsiasi icona, anche le più reticenti e pure, e non manca mai di ricordarci attraverso questi piccoli camei (che al pubblico inconsapevole forniscono quel retrogusto di trasgressione che tanto li fa godere, poco importa se si tratta di una riproduzione artificiale in stile disneyland) che lo spettacolo è in grado di fare quello che vuole, basta pagare, e che nessuno è abbastanza forte e in grado di rimanerne completamente fuori

l’italia bigotta in realtà non si scandalizza di fronte a niente, e tantomeno si pone domande, basta che tutto passi attraverso il vaglio ipnotico del teleschermo – inghiotte qualsiasi baggianata e piano piano si addormenta, diventa più lenta nei riflessi, si concentra sull’inutile e non si accorge nemmeno più delle ragioni per cui tira fuori i soldi dal portafoglio, e delle tante maniere in cui va pagando la sua scarsa consapevolezza, la sua pigrizia qualunquista e la sua vocazione strutturale all’approssimazione

qui un articolo di francesco merlo sull’ultimo sanremo

II
è di ieri sera la notizia che il sito di vajont.info è stato blindato da un giudice per aver pubblicato una battuta che metteva in relazione in modo piuttosto esplicito e pungente la mafia, la merda e due simpaticoni a caso, il cui nome noto a tutti evito di trascrivere per ragioni fin troppo ovvie

ecco dunque partire un provvedimento che non solo mette un grave e vergognoso bavaglio a una libera espressione (che certo sfiorava pericolosamente la diffamazione), ma opera in senso ben più pesante andando a rimuovere l’intera piattaforma e quindi tutti gli articoli in essa ospitati, senza che vi fosse alcuna condanna dichiarata per diffamazione rispetto ai contenuti incriminati
sono passate solo poche settimane dalla pesante operazione dell’antitrust americana nei confronti di megavideo ed altri siti di hosting, che ha drasticamente ridotto la possibilità di scambiare materiale online, e già ci troviamo di fronte ad un ulteriore e pericoloso impoverimento della rete, che sembra destinata a un futuro prossimo di progressiva irregimentazione, una stagione incalzante in cui verranno limitate gradualmente la libertà di espressione e di scambio dell’utenza e la possibilità di utilizzare internet per fini diversi da quelli dell’intrattenimento e del commercio, o della circolazione di dati e informazioni che si pongano in netto e radicale contrasto con le logiche di chi comanda
non vengono puniti i siti porno o quelli che invitano a giocare d’azzardo, sappiamo purtroppo che persino la rai ha deciso di ospitare alcuni spot di sale da gioco online – ma vengono e potrebbero ancora venir censurati e perseguiti penalmente tutti coloro che si esprimono in netto contrasto con le logiche partitarie o delle lobbies finanziarie, quelli che agiscono in funzione di una libera circolazione dei contenuti e che immaginano un mondo che ponga su un piano diverso le esigenze del mercato rispetto a molti altri obiettivi che vanno in diversa direzione, più democratica e attenta nei confronti dei diritti umani e dei valori sociali
la rete fa molta paura a tutte le forme di potere e l’unico modo possibile per neutralizzarla è quello di mettere un pesante bavaglio e dare il via a una politica di censure e sanzioni (non vedono l’ora!), nel tentativo di scoraggiare ogni forma di controcultura e qualsiasi altro tentativo di boicottare le svariate forme di supremazia economica cui siamo quotidianamente sottoposti

e mentre si prospettano simili scenari, prendono sempre più piede i social network, sui quali svariati milioni di persone spendono le loro giornate a scambiare informazioni e materiali, opinioni e dettagli di natura personale, senza fare caso al grande occhio che sorveglia ed incombe, e poco preoccupati che la loro privacy venga costantemente violata a loro insaputa / la maggior parte di loro – diciamolo – dissemina la rete di cazzate o tutt’al più di ogni genere di amenità, e quindi rappresenta un target ideale per il business e un soggetto che non desta preoccupazioni d’altro genere / non pensano alla censura, queste candide creature: magari parlano dell’ultima cravatta che hanno regalato al fidanzato, oppure riempiono la bacheca di fotografie anticate, processate con il loro iphone, si divertono a leggere le bacheche degli amici per rincarare la propria dose di quotidiane piacevolezze del tutto inutili per il pianeta – e se qualcuno viene censurato che importa?
la libertà per loro è poter scegliere un paio di calze o la macchina nuova
insomma, solo fuffa di ordinaria amministrazione che non fa paura a nessuno, là in alto

le considerazioni di wu ming sul caso vajont.info in un commento

qui un altro post che spiega in dettaglio la situazione e le sue possibili conseguenze

III
stamattina, parlando con un “collega” (mi sento poco adatta alla definizione di insegnante, ancora troppo imparante e incerta per quel ruolo) in merito a sanremo, mi son sentita dire che il festival e il calcio sono analoghe espressioni collettive di una certa italia, da mettere sullo stesso piano / la mia risposta, da amante della musica e della cultura molto più che del calcio (per quanto…), è stata che in genere chi va allo stadio conosce bene ciò che va a vedere, è consapevole del suo gusto e compie una scelta abbastanza precisa, pur con tutte le aberrazioni comportamentali che ne conseguono, mentre chi guarda sanremo nella maggioranza dei casi lo guarda e basta, e di musica o televisione non capisce proprio un cazzo – in genere è un pubblico che si annulla davanti a tante altre porcate televisive e aspetta questa kermesse per decerebrarsi una volta di più con la melma dei gossip e per impantanarsi fino agli occhi parlando di tutto fuor che di musica o di comunicazione: l’orlo di una gonna, la sfumatura dell’ombretto, il seno rifatto di una soubrette, il tatuaggio e la battuta grottesca, la mutanda si o la mutanda no? (e questo elenco di nobili quanto imprescindibili argomenti potrebbe continuare a lungo, purtroppo …)
tutto ridotto a mera chiacchera fine a sé stessa

mi è stato obiettato che le persone non dovrebbero giudicare, quasi che esprimere un giudizio personale su uno spettacolo mandato in onda da una rete pubblica (e sottolineo: pubblica) e le re-azioni dei cittadini-spettatori fose un atto di presunzione / quale dovrebbe essere dunque il ruolo del nostro cervello e il limite delle nostre opinioni nel momento in cui ci troviamo di fronte a un evento di natura collettiva che catalizza l’attenzione delle persone e dei principali media e che rientra nelle priorità televisive di così tanti italiani? quello di entrare in stand-by senza trarre conclusioni in merito o quello di analizzare criticamente la situazione prendendo una posizione che ha tutto il diritto di essere anche (ma non solo) ideologica e culturale? perché non posso giudicare quello che vedo se è conseguenza di una decadenza culturale ed intellettuale del mio paese? perché devo astenermi dal dire che di fronte a certi programmi basta un minimo di decenza e di intelligenza per decidere di cambiare canale dopo pochi minuti?

l'intelligente e provocatoria illustrazione di gianluca costantini

IV
siamo abituati a soprassedere, a mettere le cose in calderoni generosamente allargati e tolleranti, dove ci stanno comode e non causano turbamenti rispetto alla loro definizione / ma l’approssimazione rappresenta uno scanso delle proprie responsabilità, di pensiero prima, e di comunicazione poi –  ed è proprio l’approssimazione che in buona misura ci impedisce di assumere una posizione chiara e decisa nei confronti delle cose – perché spesso, per pigrizia o per comodità (quello che si definisce comunemente quieto vivere) preferiamo fare di molte erbe un fascio senza guardare più da vicino l’assetto reale delle cose ed oltretutto tollerando la differenza in tutte le sue forme, anche quando è solo conseguenza del mal vivere e di un deficit di pensiero

non si tratta di parlare di calcio o di sanremo, piuttosto di prendere in esame cosa sia veramente un evento collettivo condiviso per gli italiani, se esista qualche aspetto che susciti una reale e profonda identificazione, e con questo intendo dire che se davvero mi identifico con una certa cosa mi assumo la responsabilità di quella cosa e mi pongo criticamente (con coscienza critica) nei suoi confronti / possiamo scegliere solo ciò che conosciamo, e quando non scegliamo vuol dire che veniamo scelti (ma non sotto forma di investitura divina…)

non credo che la soluzione sia non possedere un televisore, non credo (penso di averlo già scritto) che rinunciare a uno strumento sia la posizione migliore / penso invece che gli strumenti vadano usati per ricevere le cose buone che sono in grado di offrire (l’altra sera per esempio, rai 5 ha trasmesso, pur se a un’ora indecente, bela tarr, tanto per dire) e che sia un nostro dovere fare in modo che tali strumenti rimangano al servizio del bene pubblico e lottare affinchè non diventino sempre di più causa di torpore mentale e di abbrutimento culturale /

quello che ho domandato al mio collega musicista nel momento in cui affermava che potendo sarebbe andato a sanremo per essere parte di quello che per lui è un grande per quanto discutibile progetto pubblico, è stato che cosa secondo lui sarebbe rimasto nel cervello degli italiani alla conclusione del festival e quale valore aggiunto contribuiva a dispensare la detta rassegna – la risposta era ovvia ed ha fatto de-cadere la conversazione, ma davvero ritorno sul mio vecchio adagio in merito al fatto che troppo poco ci domandiamo se le cose che facciamo, i libri che leggiamo e le nostre pratiche culturali siano in grado di renderci più forti e più ricchi o se siano invece soporifere pratiche di mantenimento, dove un’immobilità piacevole sembra essere l’unico bene perseguibile

l’accondiscendenza che dimostriamo nei confronti di molte situazioni culturali di misero compromesso e di scarsa qualità, è conseguenza del fatto che costruire variazioni del senso e perseguire una maggiore solidità culturale implica uno sforzo enorme, e soprattutto tante forme di rinuncia alla piacevolezza che invece impregna la scadente sottocultura cui siamo sempre più abituati / è faticoso e scomodo essere coerenti, è faticoso mettersi a smontare la realtà di ogni giorno e cercare il pelo nell’uovo delle cose, ci può rendere infelici, a guardar bene, e molto antipatici – e lo dico perché questo mondo recente mi angoscia profondamente, è un mondo che manca di valori condivisibili, è brutto e non mi piace / non mi piace esser costretta un po’ come tutti a cercare la gratificazione solo nel privato, nell’individuale, od entro i limiti di una condivisione locale / e non mi piace accontentarmi sempre e comunque / avrei bisogno di sentire che alcune cose vanno bene per tutti, o quantomeno per tanti, che esiste un piano più ampio per condividere il piacere così come lo sforzo della costruzione (e in questo caso intendo la costruzione politica nel suo senso più alto)
non mi importa nulla di sanremo, ho la televisione ma non lo guardo
ma mi ha ferita sapere che patti smith l’altra sera era su quel palco, perché era un altro tassello privo di senso che si aggiungeva al mosaico del presente, un altro momento di insensata contaminazione, perché non è più vero che l’importante è solo fare cose “belle” (posto che lo siano davvero) non importa dove e non importa quando / invece dovremmo proprio cominciare a decidere con più attenzione dove quando e soprattutto perché – sperando che almeno per quelli che come lei (patti) sono arrivati molto in alto, non siano i soldi od il prestigio personale l’unica discriminante alla base del compromesso

V
colophon
sono diventata antipatica, e pesante
è perchè sono infelice, e le ragioni non sono esclusivamente di natura personale: mancano le gioie condivise di cui sopra, i motivi per andare orgogliosa del mio paese, delle persone che ci governano, e più in generale per essere soddisfatta del tempo in cui vivo
in passato a scuola i colleghi erano contenti di vedermi, perchè dicevano che portavo con me una strampalata forma di allegria
ma era un’altra stagione
adesso immagino proprio che non sia così: sento di trasportare anche al lavoro questa pesantezza di pensiero, che si dissolve solo in compagnia dei ragazzi, quando siamo immersi nelle attività più concretamente connesse all’apprendimento ed allo scambio di contenuti
aspiro ad un lavoro che mi consenta di vivere in silenzio

questa non è una recensione di bright star
.



{- – -}

stamattina leggevo un interessante trafiletto sul blog di bob, dedicato all’ultimo film di jane campion, bright star / confesso con un certo imbarazzo che ho visto questo film più volte, nel tentativo di individuare dei punti a suo favore, ma ad ogni sguardo la mia posizione si induriva e mi conduceva sempre più in direzione di un giudizio tranciante /
tale insofferenza deriva da un’inflazione dilagante nei prodotti culturali che però sono sempre più ben confezionati e coprono abilmente ogni minima vacuità culturale con una sapienza formale sottilmente subdola /
(altro…)

la tv non puzza
il web non ha odore
e b non farnetica

di primo acchito potrebbe sembrare una delle tante stupidaggini bislacche a cui ci ha abituati nel tempo, l’affermazione ad opera del premier che i politici di sinistra non si lavano, uscita in calce a un discorso che mirava a dipingerli come ostacolatori di libertà e democrazia, ed invece non ho voglia di sorvolare, perché quell’affermazione così puntiforme e apparentemente fuori contesto riesce a toccare un nervo scoperto, un’idiosincrasia mai apertamente dichiarata inerente le abitudini di vita che soprattutto a partire dal dopoguerra ci hanno condotti verso un’esistenza senza odori (o quasi) ed a un meticoloso controllo che fa dell’igiene uno dei gangli fondamentali intorno a cui ruota la nostra quotidianità /
come afferma umberto eco nel suo ultimo libro (stralcio pubblicato ieri su repubblica) il nemico sempre puzza …, e l’odore sgradevole ha a che fare con la diversità, con la mancata accettazione dell’altro che è vagamente simile a noi ma che non coincide a sufficienza / è un’idea così vicina all’immagine del contagio, quasi che un odore potesse trasmetterci il germe della differenza e della miseria, come si trattasse di una malattia / tale aspetto è evidente nel momento in cui consideriamo la questione razziale e le discriminazioni che ne derivano, perché la pelle diversa dalla nostra ha spesso un odore che non ri-conosciamo e che mette alla prova il nostro ecosistema introducendo elementi destabilizzanti che accettiamo con fatica /
proprio per questa stessa ragione probabilmente, l’igiene meticolosa e un’esagerata cura del sé celano spesso l’incapacità di vivere con serenità e apertura la questione delle differenze, soprattutto in una società diventata esponenzialmente multietnica facendo del confronto con l’estraneo un elemento che non possiamo evitare o rimuovere del tutto / ecco che allora pulirsi profumarsi disinfettarsi rappresenta una forma di antidoto all’altro, un tentativo di rimuovere il germe sconosciuto che deriva dalla prossimità dello straniero, di ciò che non è familiare o che non conosciamo a sufficienza / quindi più o meno consapevolmente associamo l’idea di sporco a una distanza morale, a una scala di valore che ci vede al centro di un ecosistema culturale che consideriamo dominante, e questo tipo di associazione lavora a un livello che difficilmente possiamo controllare e percepire con il nostro lato più razionale /
la parola odore non è più associabile con naturalezza a uno dei tanti aspetti della nostra fisiologia, per esempio ad un’intensa attività fisica o alle caratteristiche dell’epidermide, ma richiama piuttosto la scarsa igiene, lo sporco recidivo e un’insufficiente cura della propria persona, che per un delirio autocentrico associamo istantaneamente a una carenza culturale / con sistematicià quasi compulsiva facciamo attenzione a rimuovere ogni memoria del corpo quale macchina imperfetta e ci impegnamo a perseguire una realtà asettica e impersonale che ci protegga dall’onere della differenza e della decadenza insita nelle cose di natura (manca l’accettazione dell’invecchiamento nella sua complessità), così come dall’assunzione della responsabilità di dialogare con lo straniero o con chi consideriamo erroneamente inferiore /
per queste ragioni (tra le altre) le parole del premier mi paiono particolarmente insidiose, perché associare la sinistra all’idea di sporco va a far leva su un tabù profondo e stabilizzato, conducendo l’elettore a reagire in maniera non del tutto consapevole a un fastidio di matrice culturale con cui si confronta quotidianamente a molti livelli diversi /
lo sporco è un tabù da cui b deve liberarsi e smarcarsi con urgenza (pensiamo solo alla questione dei rifiuti in campania ma anche alla dubbia moralità che macchia la sua carica istituzionale): tenta di farlo capovolgendo la questione e dissociandosi verbalmente da qualsiasi forma di coinvolgimento e compromissione in affari variamente sporchi, al contrario riversando sull’avversario politico le proprie macchie, in un abile gioco dialettico di specchiamento /
qualcuno però dovrebbe spiegare al nostro premier, esponente di punta di una società batteriologicamente pura, che certe sporcizie anche sfregando forte non vengono via, e che un’abbondanza di lavaggi e profumi non garantisce affatto la pulizia della coscienza e una purezza d’intenti /

cordiali saluti

.

con parole semplici ho cercato di spiegare all’interno di una lettera il mio punto di vista (a partire da uno scambio via blog avvenuto tra salvatore d’agostino e ugo rosa) in merito al discorso politico italiano recente, spiegando perchè io non condivida un certo accanimento nei confronti di alcuni aspetti grotteschi e sensazionalistici che hanno assunto una rilevanza a parer mio eccessiva, in termini relativi, rispetto alle questioni fondative dello scenario italiano e del possibile futuro

salvatore d’agostino ne ha fatto un post su wilfing architettura


cosa ricavano le persone da questo snervante accanimento nei confronti dello stile bieco dei nostri politici e come possono riuscire a districarsi e trovare il margine impalpabile che divide l’estetica di quell’ambiente dalla sua inesistente morale? una buona parte del paese probabilmente pensa che il premier è un vincente proprio perché può circondarsi di donne belle e giovani e perché possiede una squadra di calcio: a loro non importa se tali piaceri vengono acquisiti solo ed esclusivamente tramite il denaro (spesso anche illecitamente guadagnato), perché parliamo di persone che tanto denaro non lo vedranno mai e che però ne rimangono inevitabilmente abbagliate

nessuna rivelazione piccante o squallida potrà scandalizzarli, perché tutto quel marciume si svolge all’ombra della ricchezza e del potere, e dunque il rumoreggiare dell’opposizione, martellante e monotono, non scalfisce minimamente l’immagine della divinità vincente

testo integrale  qui