mentre trascorro molte ore al giorno intenta a vettorializzare, immagino possibili famiglie di creature
per la prossima mostra mi piacerebbe lavorare con pochi colori, quasi solo in bianco e nero, e realizzare serie di tavole attinenti alla scrittura ed agli alfabeti, da stampare su carta da fotocopie e far scarabocchiare ai bambini
così immagino i letterati, i poliglotti e i caratteriali
creature disturbate –  a volte logorroiche, a volte ermetiche – spesso poco socievoli e di cattivo umore…
puntute, perplesse, tipografiche, monocromatiche, CMYK, scombinate e vagamente autistiche

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provo anche a stampare su a4 alcuni lavori recenti pensando al negozio online che langue
a udine ha chiuso l’ultimo centro stampa che si dedicava anche alle belle arti ed ora concretizzare qualcosa è ancor più complicato / ci vogliono soldi, tempo ed energie – tutte risorse scarse
così, mentre molti si divertono a bere aperitivi, moltissimi si eccitano guidando suv raccapriccianti a velocità stratosferiche, altri si dedicano alla famiglia e altri ancora vanno in discoteca, la sottoscritta si consuma a chiedersi quali siano le ragioni per trascorrere gli ultmi stiracchiati brandelli dell’età quasi adulta in una insulsa e sguarnita città borghese di provincia, nell’odioso nord est dello stivale…
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andare al cinema ieri sera è quanto meno servito a scoprire che qui a udine è in corso una densa rassegna dedicata alle immagini in bianco e nero (ma non solo), che comprende mostre conferenze e concerti
nella biglietteria del visionario trova spazio una interessante proiezione di video sperimentali (rigorosamente black&white – ottimo l’allestimento scarno)
helmut newton sarà esposto fino al 12 settembre alla chiesa di san francesco
hery cartier bresson fino al 19 a palazzo morpurgo ed escher a casa colombatti
conferenze di mario luzzato fegiz, beppe severgnini, fulvio irace e altri
il programma completo sul sito

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ps/
era da molto che non rimanevo imbottigliata in città di sabato sera, all’ora dell’aperitivo
esperienza allucinante – impossibile muoversi in bicicletta per via di un fiume di gente in ghingheri che si accalca di fronte ai locali bramoso di happy hour
nel frattempo in periferia i russi imbarcano le derrate su vecchi furgoni provenienti dalle città dell’est
… quel che rimane della provincia?

ieri sono stata al cinema per vedere urlo e sapevo sin da principio che non sarebbe stata una visione entusiasmante perché conosco ed amo troppo le strampalate e commoventi storie dei beatniks per potermi accontentare
eppure, essendo il film diretto da due documentaristi, mi sarei aspettata qualcosa di meno televisivo e patinato
il periodo beat fu contraddistinto da una forte inclinazione allo sperimentalismo frugale, quotidiano, dall’invenzione spicciola quanto ininterrotta e dalla difficile e inebriante rottura delle regole perbeniste dell’america postbellica
tutto ciò arrivò da noi più tardi grazie al binomio pivano-feltrinelli e venne filtrato e idealizzato dal decoroso provincialismo italiano, mentre per farsi un’idea più obiettiva sull’estetica beatnik sarebbe piuttosto indicata la visione di pull my daisy di robert frank (1958) , per intendere quella particolare, meravigliosa, malinconica e sfuggente inconsistenza che contraddiceva l’ambiente beat:  ciò che realmente manca nel film visto ieri e che difficilmente si può ottenere se non rinunciando alle finiture leccate ed alle postproduzioni maniacali
infatti, se da un lato vige una rigorosa filologia, dall’altro il film la rinnega puntualmente per adattarsi ad esigenze di maggiore godibilità cinematografica, perdendo così fedeltà narrativa, profondità di campo e credibilità –
non mi sarebbe dispiaciuta la scelta di accompagnare alcuni brani del poema con le sfolgoranti animazioni ispirate ad illuminated poems e mirabilmente disegnate dallo stesso eric drooker (ma integralmente realizzate in tailandia, ndr) se tali animazioni non fossero state così esplicitamente contemporanee, impeccabili e computerizzate – e mi sarei aspettata che il be-bop fosse la reale colonna sonora della storia, senza il ricorso accondiscendente a musiche di compromesso, più recenti e non contestuali
inoltre suggerisco caldamente la visione in lingua originale, auspicandomi che le letture da ginsberg siano meno raccapriccianti [ come scritto sugli spietati a chiosa di un’ottima recensione: doppiaggio inopportuno fino al masochismo ] :-)

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è quasi autunno

la stagione parte male con la scuola in subbuglio e un’amargura sociale che non si risolve / persino i più ingenui intendono che tanti divisi è come essere pochi o nessuni, tante solitudini che vibrano senza produrre risultati / e pare banale ma anche triste affermare che ci siamo arrivati attraverso anni di benessere altrettanto individuale, anni di televisione soprattutto, un fiume ininterrotto di immagini succulente tenute a debita distanza e noi perduti davanti allo schermo, a dimenticare …

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c’è un autunnare anche del corpo – e dei frutti, che intristiscono nell’azzurro vano di una ciotola

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parole: clarice lispector – musica: philip glass

[ appunti di viaggio ]

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una parentesi soleggiata in mezzo alle piogge
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le persone che vivono parlando
dentro quel fiume di parole percepisco tutto il loro stare al mondo, concentrato, come se le parole fossero stampelle e sedie e lenti di ingrandimento / (parlo, dunque sono ….)
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un sole che è gioia per gli occhi
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osservo chi non si vergogna oppure non ha paura di certe piccole emozioni capaci di farci splendere di gioia come creature ancora non contaminate dall’età adulta
ombra lieve in un boschetto di betulle e l’infinità di steli d’erba che picchiettano lo sguardo
* (forse solo van gogh aveva capito e perseguito una simile innumerevolezza di fili d’erba)
la città delle stelle e stelle che si insinuano nel sorriso attaccandosi ai denti – stelle marine fosforescenti nel mare misterioso della sua bocca
porto ancora una maglia di lana che lascio scivolare senza fretta
l’azzurro mi scalda – l’azzurro mi consola – una specie di mare gassoso e alto dove vado a rifrangermi, gioco a rifrangere lo sguardo e vedere parti del mondo che la grande curva nasconde
il cielo è specchio il cielo è tempo sospeso e intravvedo le stelle sante sui suoi denti trattenuti e gentili
tutto è sogno – piacevole crudele affabulazione, pigmentazione transitoria, una di quelle decalcomanie infantili che trovi distese in un velo di plastica dentro ai dolci
si stendono con l’acqua si disintegrano con l’acqua
senz’acqua rimarrebbero – come noi stesi senza cominciare, stesi e privi di un cominciamento, di una parola

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si tratta in questo caso specifico di creature poliglotte e sostanzialmente confuse …

presto nel negozio / soon in the shop

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