| mentre trascorro molte ore al giorno intenta a vettorializzare, immagino possibili famiglie di creature per la prossima mostra mi piacerebbe lavorare con pochi colori, quasi solo in bianco e nero, e realizzare serie di tavole attinenti alla scrittura ed agli alfabeti, da stampare su carta da fotocopie e far scarabocchiare ai bambini così immagino i letterati, i poliglotti e i caratteriali creature disturbate – a volte logorroiche, a volte ermetiche – spesso poco socievoli e di cattivo umore… puntute, perplesse, tipografiche, monocromatiche, CMYK, scombinate e vagamente autistiche
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| andare al cinema ieri sera è quanto meno servito a scoprire che qui a udine è in corso una densa rassegna dedicata alle immagini in bianco e nero (ma non solo), che comprende mostre conferenze e concerti nella biglietteria del visionario trova spazio una interessante proiezione di video sperimentali (rigorosamente black&white – ottimo l’allestimento scarno) helmut newton sarà esposto fino al 12 settembre alla chiesa di san francesco hery cartier bresson fino al 19 a palazzo morpurgo ed escher a casa colombatti conferenze di mario luzzato fegiz, beppe severgnini, fulvio irace e altri il programma completo sul sito .
ps/ |
| ieri sono stata al cinema per vedere urlo e sapevo sin da principio che non sarebbe stata una visione entusiasmante perché conosco ed amo troppo le strampalate e commoventi storie dei beatniks per potermi accontentare eppure, essendo il film diretto da due documentaristi, mi sarei aspettata qualcosa di meno televisivo e patinato il periodo beat fu contraddistinto da una forte inclinazione allo sperimentalismo frugale, quotidiano, dall’invenzione spicciola quanto ininterrotta e dalla difficile e inebriante rottura delle regole perbeniste dell’america postbellica tutto ciò arrivò da noi più tardi grazie al binomio pivano-feltrinelli e venne filtrato e idealizzato dal decoroso provincialismo italiano, mentre per farsi un’idea più obiettiva sull’estetica beatnik sarebbe piuttosto indicata la visione di pull my daisy di robert frank (1958) , per intendere quella particolare, meravigliosa, malinconica e sfuggente inconsistenza che contraddiceva l’ambiente beat: ciò che realmente manca nel film visto ieri e che difficilmente si può ottenere se non rinunciando alle finiture leccate ed alle postproduzioni maniacali infatti, se da un lato vige una rigorosa filologia, dall’altro il film la rinnega puntualmente per adattarsi ad esigenze di maggiore godibilità cinematografica, perdendo così fedeltà narrativa, profondità di campo e credibilità – non mi sarebbe dispiaciuta la scelta di accompagnare alcuni brani del poema con le sfolgoranti animazioni ispirate ad illuminated poems e mirabilmente disegnate dallo stesso eric drooker (ma integralmente realizzate in tailandia, ndr) se tali animazioni non fossero state così esplicitamente contemporanee, impeccabili e computerizzate – e mi sarei aspettata che il be-bop fosse la reale colonna sonora della storia, senza il ricorso accondiscendente a musiche di compromesso, più recenti e non contestuali inoltre suggerisco caldamente la visione in lingua originale, auspicandomi che le letture da ginsberg siano meno raccapriccianti [ come scritto sugli spietati a chiosa di un’ottima recensione: doppiaggio inopportuno fino al masochismo ] — :-) . |
| è quasi autunno
la stagione parte male con la scuola in subbuglio e un’amargura sociale che non si risolve / persino i più ingenui intendono che tanti divisi è come essere pochi o nessuni, tante solitudini che vibrano senza produrre risultati / e pare banale ma anche triste affermare che ci siamo arrivati attraverso anni di benessere altrettanto individuale, anni di televisione soprattutto, un fiume ininterrotto di immagini succulente tenute a debita distanza e noi perduti davanti allo schermo, a dimenticare …
c’è un autunnare anche del corpo – e dei frutti, che intristiscono nell’azzurro vano di una ciotola .
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parole: clarice lispector – musica: philip glass
| [ appunti di viaggio ]
. una parentesi soleggiata in mezzo alle piogge |


















