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un articolo di giorgio fontana sul manifesto di ieri è spunto e pretesto per alcune riflessioni in merito alla tendenza contemporanea (ma già evidente nelle parole di camus pubblicate sopra) di considerare l’artista e non l’opera, il personaggio e non il suo operato – in sintesi, l’immagine in vece della sostanza
ricordo di aver inteso nitidamente il senso della crisi culturale in atto durante una visita alla biennale veneziana di architettura, circa una decina di anni fa, quando entrai nel padiglione francese dove al posto dei progetti le pareti erano tappezzate con ritratti giganti in bianco e nero dei progettisti nazionali allora più in voga, ritratti su cui era riprodotta la loro firma altrettanto gigante …
tale scelta mondana mi scandalizzò e me ne andai disgustata, domandandomi se quello fosse un alibi per nascondere la carenza di buone architetture o se davvero fossimo giunti al punto in cui il progettista e la sua estetica personale fossero diventati più importanti dell’opera stessa

tutto questo deriva dal cinema? dalla distanza solo apparentemente breve che c’è fra il protagonista-interprete e il divo-persona?
per certi versi tumblr rappresenta un esempio di questa desostanzializzazione delle immagini e del loro contenuto: io stessa salvo spesso ritratti di grandi maestri delle arti, piuttosto che di politici od intellettuali, per l’aura che trasportano con sé – un’aura che riconosco come familiare, indipendentemente dal fatto di averli letti o studiati / l’immagine vive dunque un’esistenza a parte, di superficie e per certi versi scollegata dai contenuti,  frequentemente più intensa dei riferimenti culturali che veicola

intellettuali – ecco finalmente la controversa parola che mi ha condotta sin qui dall’articolo di fontana, dove si puntualizza la necessità di pensieri forti, indipendenti dalla verve estetica delle figure da cui tali pensieri provengono / il giovane scrittore si sofferma inoltre a riflettere pur velocemente sulla ricchezza del web e sulla necessità di trovare anche nelle letture online il risultato di uno sforzo che prescinda l’esibizionismo e il partecipazionismo di chi scrive – uno sforzo a sè stante, generato dalla volontà di mettere a fuoco dei contenuti mediante la scrittura

così la vera domanda non è di quali intellettuali l’Italia ha bisogno oggi, ma di quale pensiero. indipendentemente dalle figure che lo veicolano. indipendentemente da occhiali dalla montatura spessa, pernod su tavolini di parigi, o qualunque altro elemento che ci distolga dal solo punto chiave: il valore di comprendere razionalmente, liberamente, e criticamente, il reale.
perché sì, la mia preoccupazione più grande è che il pensiero abbia un effetto sulla realtà, e che il mestiere dell’intellettuale (ah, ancora questa parola) sia un mestiere nel senso più robusto e antico del termine. trasmettere la passione del ragionamento in una società che sta perdendo il valore dell’argomentazione.
ma come ho detto, a me gli “intellettuali” stanno sullo stomaco: non voglio altissime figure di riferimento, voglio parole che tocchino il cuore delle cose
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