un pomeriggio di sole a venezia ascoltando la radio
il secolo appena cominciato
giovinezza invece che volge al termine

sono le grandi vicende del mondo a fare da cornice, e non il contrario
ben pochi si confrontano con vicissitudini personali che coincidono con quelle storiche
chi combatte, per esempio, ma anche come in questo caso coloro che, mentre ascoltavo la radio in un vecchio appartamento veneziano riscaldato dal sole morbido di settembre, assistevano da vicino o peggio ancora si trovavano direttamente coinvolti in uno dei fatti più incredibili e mortali degli ultimi decenni, che ha ribaltato la nostra percezione del mondo
ma persino in questo caso la micro scala di coloro che sono morti od hanno assaggiato la cenere di manhattan per giorni immersi nel terrore, e la macro scala delle conseguenze a livello globale, sono separate da una distanza incolmabile, perché la storia implica una serie di trasformazioni che difficilmente possiamo toccare con mano e condizionare direttamente, e che andiamo a percepire solo nella loro condizione capillare e periferica
probabilmente la questione risiede tutta nella ricostruzione, vale a dire nell’atto di riprendersi da qualcosa e di ristabilire un assetto di normalità, a qualsiasi livello – è in quel momento specifico, quando si va a ricostruire, che diventa importante la situazione storica, in quell’esatto momento il presente si rivela nelle sue potenzialità reali, nelle intenzionalità e nella sua possibilità di sfruttare le risorse in un certo modo od in un altro, di mettere a frutto il poco o il tanto che è andato prendendo forma negli anni
nell’atto del ricostuire, fisicamente economicamente socialmente e politicamente, si rivela inesorabile l’estetica del nostro tempo, la sua faccia o persino sua maschera – l’undici settembre per esempio ci ha rivelato che questo è il tempo delle banche, il tempo delle guerre strategiche e strumentali, vissute per gestire flussi di denaro e di potere sotterranei ed invisibili, per consumare armamenti in esubero e garantire un apparente equilibrio tra forze che trascendono in qualche modo a noi misterioso gli stati come li abbiamo tradizionalmente intesi, non più trasparenti e rassicuranti ma farraginosamente implicati in remoti ed esclusivi giochi di potere da cui i cittadini sono definitivamente esclusi (e qui si aprirebbe una parentesi sul valore del voto e su cosa effettivamente votiamo nelle elezioni politiche)
certo questa fu una dimensione presente ad ogni guerra, ma la ricostruzione dopo il settembre 2001 trova un mondo governato da tecnologia e reti telematiche, i flussi sono diventati più che mai impalpabili e soprattutto veloci, le architetture si risolvono in superfici dall’apparenza decorativa e confortante mentre a livello strutturale continuano a rimanere presenti gangli funzionali oramai inesorabilmente distanziati dalla vista e dalla percezione, con le loro mostruosità e sproporzioni. La ricostruzione dopo il 2001 fu particolarmente veloce, la guerra risoluta, l’opinione pubblica divisa ma pur sempre governata da una retorica che riconduceva a patinature emotive di superficie irrimediabilmente distanziate da qualsiasi apparato di analisi interna, pressochè inaccessibile ai comuni cittadini
si ricostruisce un mondo perfetto eppure insicuro, che materialmente rivela ben presto le sue falle attraverso un cedimento del sistema finanziario, e la crisi rivela che sotto la superficie vi sono meccanismi impazziti in irrefrenabile accelerazione ed oramai fuori controllo, le cui conseguenze ricadono su coloro che nell’intero sistema sono di fatto elementi incolpevoli o passivi, una sorta di componente di sfogo, come un lago in cui vengono scaricate le sostanze avariate prodotte da una grande fabbrica

ogni anno mi trovo a pensare che in questa data non ha molto senso celebrare solo i morti nel frangente delle torri gemelle, quanto piuttosto la fine di un mondo come lo conoscevamo – dopo di allora si sono aperte una serie di possibilità apparenti, che però quasi mai davano agli individui la possibilità di essere gestite a livello processuale, ed il proliferare dei reality show e della cultura di stampo televisivo a partecipazione diretta è un esempio lampante di questa economia che sfrutta impunemente il nostro tempo e le nostre anime senza renderci realmente parte attiva di un meccanismo
suppongo quindi di provare maggiore fiducia in chi attualmente va proponendo logiche di decostruzione e di rallentamento, logiche di rinuncia materiale del tutto anacronistiche in un momento storico in cui siamo soggetti a forme incontrollabili e capillari di avidità e di tensione parossistica al consumo ma onestamente finalizzate al cambiamento, all’idea di recuperare una dimensione socio-politica che corrisponda direttamente ai cittadini e che non faccia gli interessi esclusivi delle entità più o meno nascoste che gestiscono il potere a livello mondiale
ricordando gramsci sostenere come tutto fosse riconducibile ad un piano politico (e nell’altro secolo probabilmente tale affermazione corrispondeva al vero) oggi penso che si possa affermare che tutto è cultura, che tutto passa attraverso il recupero consapevole e lento dei meccanismi della conoscenza e della responsabilità del sapere, gli unici volti alla formazione di una coscienza vigile e di una mentalità costruttiva – pensare a una ricostruzione dal basso che provi a scoperchiare il velo ottundente della superficie per tornare ad essere più presenti ai meccanismi nascosti che ci governano e cambiano il nostro modo di vivere e sentire

One Comment

  1. Fatto mortale perché spettacolare ma certo non più mortale dei piccoli Said spirati ogni giorno in Siria, in Libia, o nelle baraccopoli della manodopera a 1 dollaro al giorno che serve il nostro piccolo mondo. Momento indubbiamente interessante, l’11 settembre, la storia in diretta, lo scontro di civiltà, l’estetica del massacro, frammenti di una società schizofrenica dove il tutto è l’altro lato del niente che nemmeno Borges o Deleuze lo avrebbero immaginato così bene, anche se mi pare più cruciale il 15 aprile 1994, data della nascita del World Trade Organization, gesto di pace e di guerra, il rompete le righe alla finanza e alla distruzione del corpo/lavoro. Adesso siamo tutti sullo stesso piano, idee, capitali, lavoro, tutti connessi eppure tutti isolati, massima espressione del dividi e impera romano, un mondo di formiche che si telefonano in continuazione nel pianeta degli elefanti.
    Credo tu abbia ragione, apprezzo moltissimo la frugalità delle immagini che scatti, la pulizia dei tuoi lavori e in generale la mano che toglie e si preoccupa di sentire e di tracciare il confine tra ciò che c’è e ciò che potrebbe non esserci più. Per quanto riguarda il futuro non so, anch’io ricordo i pomeriggi di luce dell’infanzia, il silenzio, lo spazio ma, seduto su questo proiettile che fila, non so se li rimpiango.
    (L)

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