ricomincio con oggi a pubblicare (anche se non so con quanta e quale regolarità) la mia rubrica seven days a note, per raccogliere in scalette periodiche gli ascolti pseudo-settimanali – occasione di questo ricominciamento, che probabilmente servirà più alla sottoscritta per fare ordine mentale che a voi radi passanti, è stata la scorpacciata di uscite discografiche recenti, in particolare a dicembre e nel periodo festivo

le playlist di fine anno costituiscono un ottimo riferimento per colmare le lacune e scoprire tesori della discografia recente passati inosservati e l’esordio del 2013 è dunque accompagnato dall’ascolto di alcuni capolavori e da altri interessanti o controversi prodotti che meritano (forse?) di venir segnalati sul blog
come ormai si sarà capito non si tratta di scelte commerciali (evito pertanto i commenti sull’ultimo bowie che ha fatto così tanto scalpore pubblicando un brano gradevole quanto scontato che ben poco aggiunge al panorama odierno del pop – lo si ama perché si ama o si è amato bowie, forse per nostalgia, non certo per la bellezza sconvolgente della musica, che probabilmente ricorderemo per qualche  settimana, forse solo giorni …)

in effetti, sempre più difficile con il passare degli anni poter guardare con entusiasmo alla produzione culturale e artistica in qualsiasi campo – a volte per esempio (anzi spesso) mi dico che il rock è morto, seduto sulla ripetizione di se stesso – ma sporadici episodi fanno intuire che in quello come in ogni altro genere ci sarebbe spazio per l’evoluzione, solo che probabilmente hanno ancora da nascere i predestinati cui è riservata tale missione – nonostante questo di tanto in tanto sorprendono inaspettati tesori, o piccole gioie deliziose, o dischi realizzati con cura straordinaria pur senza la pretesa di sfondare chissà quali barriere del già visto e già sentito
l’importante (almeno per la sottoscritta) è non accontentarsi (ma scavare, scavare, scavare…)

mentre le nuove generazioni crescono per la gran parte inconsapevoli (del resto, chi li guida?), quelle più attempate (tipo la mia) appendono le orecchie al chiodo dimenticando cosa sia ascoltare buona musica, e si concedono nostalgici a pink floyd e jetro tull, a genesis e de andrè (tanto di cappello a tutti questi nomi, naturalmente), dimenticando che dopo di allora è stato fatto molto altro e che sarebbe bello provare a conoscere anche la voce del proprio tempo e non solo quella dei propri 16 anni!

detto questo a mo’ di premessa, una nota a parte merita il disco che a mio parere è in assoluto il migliore dell’anno appena trascorso, e più passano i giorni più trovo arduo non collocare a una considerevole distanza da ten freedom summers di wadada leo smith tutti gli altri dischi usciti nel 2012 che ho potuto ascoltare – si tratta di un’opera complessa e voluminosa che raccoglie composizioni scritte in un arco di tempo molto esteso (più di trent’anni) che riesce a captare ed intrecciare i molteplici fili della contemporaneità musicale (in ambito rigorosamente acustico) per raccontare e celebrare in quasi cinque ore di musica colta, variegata e priva di orpelli inutili, la difficile strada della democrazia e dell’uguaglianza in america
wadada leo smith ci offre un capolavoro ricco di sfaccettature e di eleganza, il distillato di una vita dedicata alla musica, all’altezza di pochi altri grandi maestri della scena musicale contemporanea … tutto il resto arriva dopo, anche il bellissimo impeccabile lavoro in trio di mazurek in quartetto (con la sanchez al piano) e l’altrettanto interessante lavoro di jason robinson uscito per la cuneiform
c’è molto di buono ancora da ascoltare – anzi, direi che rispetto alle arti visive, la carica innovativa e compositiva della musica lascia tuttora spazio per l’invenzione e il racconto, senza necessariamente indugiare su leziose patinature e decorazioni compiacenti ormai vomitevolmente inflazionate in tutti i settori della creatività – molto di valido si può trovare ancor oggi nell’ambito di musica elettronica e sperimentazione, così come nel jazz e nell’improvvisazione più aperta a contaminazioni di genere (si pensi all’esperienza di formazioni come the thing o i fire!)
insomma: ce n’è di che riempire le orecchie – basta volerlo e non fermarsi alla piacevolezza fine a se stessa

+
molti redattori di battiti hanno inserito il disco di neneh cherry and the thing tra i migliori dell’anno: confesso che pur considerandolo delizioso e accattivante nella mia scaletta ideale non raggiunge le prime posizioni – tuttavia una menzione d’onore va alla bellissima canzone dream baby dream, orecchiabile e sensuale, uno dei migliori brani di pop jazz ascoltati di recente

* il coltrane della foto: arrivato a casa il 27 dicembre dopo un viaggio lungo un mese

SEVEN DAYS A NOTE / 001.2013
anthony davis – jason robinson / cerulean landscape – clean feed 2010
demdike stare / elemental – modern love 2012
eno – fripp / evening star – island 1975
fire! / you liked me five minutes ago – rune 2009 ♥♥♥♥
jason robinson / tiresian simmetry – cuneiform 2012 ♥♥♥♥
kaoru abe, motoharu yoshizawa, toshinori kondo & derek bailey / aida’s call – starlight furniture Co 1999
mary halvorson quintet / bending bridges – firehouse 2012
neneh cherry & the thing / the cherry thing – smalltown supersound 2012 ♥♥
peter brötzmann & jason adasiewicz / going all fancy – brö 2012 ©
rob mazurek pulsar quartet / stellar pulsations – delmark 2012 ♥♥♥♥
scott walker / scott – philips 1967 (poi smash records, poi fontana)
wadada leo smith / ten freedom summers – cuneiform 2012 ♥♥♥♥♥
weasel walter – mary halvorson – peter evans / mechanical malfunction – thirsty ear 2012



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