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a udine dal 1° al 17 aprile una piccola ma interessante rassegna di eventi d’architettura
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frammenti dal deserto
rincaso che è quasi ora di cena – i negozi stanno per chiudere, si ascoltano già i clangori delle prime saracinesche abbassate e c’è un tale fermento di coppie e persone che vanno veloci, o che telefonano per organizzare la serata – alcuni iniziano con naturalezza la notte del fine settimana passeggiando abbracciati per le vie del centro

passando con l’autobus lo intravvedo acquattato all’ombra del portone (non si espone volentieri e preferisce gli anfratti dove nascondersi e guardare non visto) – sicuramente sta aspettando qualcuno che viene a prenderlo in macchina – nell’aura di luce vaga del lampione riesco a scorgere il suo giaccone di crosta leggermente rigonfio sulla pancia dove tiene le mani affondate nelle tasche – è un’immagine oscura rubata con la coda dell’occhio, mentre l’autobus si prepara a inabissarsi nella periferia

a quest’ora verso la stazione i neri sostano in gran numero sugli usci dei negozi africani con il cellulare incollato all’orecchio e le russe di mezza età si salutano a voce alta e si affrettano verso casa /
spostandosi verso il margine è già prossimo il diradarsi dei fremiti luminosi e dell’eccitazione urbana – ma in centro, in centro c’era un tale fermento nell’aria, un fermento che mi escludeva come uno schiaffo dolce e prolungato, perentorio

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fermate – tra un autobus e il successivo

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dentro l’autobus,  passo da una luce a un’altra

(per dono tuo io passo dalla luce alla luce
per mia volontà passo dalla tua luce ad un’altra –
più calma)

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1

intende che innamorarsi è (stato) un atto definitivo

2

così stanca da non voler guardare –
in fondo le fotografie sono una faccenda conclusa
attengono ad una giornata tonda e tiepida che riposa alle sue spalle

non è abituata a simili boccate di vita sociale, a tanti saluti e strette di mano, con tutte quelle bandiere che si agitano senza posa davanti agli occhi / torna a casa senza forze, stordita dal rigoglio delle bandiere, dalla marcia lenta, dal pranzo speciale consumato in compagnia di amici in un appartamento spazioso e pieno di luce
(quel vin santo così gentile uscito dalle mani sapienti di un compagno ormai morto scivola senza offendere)

nonostante il vento feroce le persone riescono a distrarla dal male, a rendere leggero l’esilio

3

nonostante

si accorge che non è nemmeno una questione di quanto o di cosa
si tratta di una mera casualità, di coincidenze
o del fatto che quando non ne puoi più l’amore ti prende per sfinimento

4

rimangono note spaziose
le candele sul tavolo sparpagliate come un filo di luce instabile
tra una nota e l’altra si insinua la nostalgia

5*

subentra lo svuotamento
l’esubero di voci e facce cui segue improvviso il clima raccolto del suo appartamento, con la musica che suona quieta mentre scrive, provoca un crollo repentino dell’umore, un abbassarsi delle difese che ricorda l’acqua che fugge rapidamente dallo scarico di un lavandino
si sente rovesciata e sgonfia
e si domanda se sia questa la dimensione più autentica della lotta, quando ti confronti con i limiti fisici del tuo sistema, quando il corpo si ri-lascia senza forze e la voce non ha più parole da pronunciare e tutto scorre come un documentario, senza sonoro e privo di riverberi abbaglianti, a una velocità irreale – come se ogni gesto di quella giornata non fosse stato effettivamente vissuto e non avesse davvero inciso un segno nel tempo presente, quasi si trattasse di ricordi che non trovano una corrispondenza nel reale – al pari dei sogni, che in fondo sono memorie di qualcosa che non è mai veramente accaduto

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confesso che ci sono andata soprattutto per ascoltare mauro costantini, ma alla fine l’incontro si è rivelato molto positivo per la qualità dell’insieme e non solo per la bella musica
ricordare giorgio ferigo e la sua prematura scomparsa potrebbe infatti provocare una smisurata tristezza, se non fosse che la sua attitudine positiva riesce a proseguire nel tempo attraverso le attività dell’associazione e si traduce nel perseguimento e nella preservazione del valore culturale e umano di ogni progetto e di ogni incontro collettivo.
in questo caso si festeggia l’uscita di un corposo volume di scritti rieditati da forum (le cifre, le anime), che trattano dei movimenti migratori in carnia, raccolti e sistematizzati con cura e riproposti in forma antologica da claudio lorenzini
ferigo fu uno studioso straordinariamente prolifico e dotato di una particolare curiosità – spinse le sue ricerche oltre i margini paludati della demografia istituzionale per dare alle informazioni che via via raccoglieva e raccontava un assetto vivo e soprattutto rispettoso di ogni minoranza; ne sono prova le brevi letture che raccontano con la nitidezza di fotografie frammenti di vita e aspetti trascurati di una storia apparentemente minore, che è poi quella che andò a conformare l’attitudine culturale di una regione e delle sue genti.
l’aula 7 di palazzo antonini è discretamente affollata, letture e riflessioni si alternano armoniosamente con gli intermezzi musicali proposti dal trio costantini, luciani, turchet
esco contenta – le cose belle succedono e a volte le parole (e le note) non deludono
grazie una volta ancora a giorgio ferigo

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il testo del volantino:

Esiste oggi un problema di svalorizzazione della forza-lavoro intellettuale?
Knowledge workers, free-lancers del sapere, classe creativa… Quali sono le condizioni in cui vivono e lavorano i giovani più colti e istruiti? Che cos’è l’intellettuale nell’epoca della new economy? Cosa significa fare cultura al tempo della globalizzazione? E a cosa aspirano i precari laureati e pluri-specializzati di oggi, quando le istituzioni – scuole, università ed enti di ricerca pubblici – che dovrebbero garantire loro una prospettiva si stanno estinguendo? C’è ancora modo di valorizzare il lavoro di chi ha la funzione di inventare e diffondere il sapere?
Quello dei lavoratori precari della conoscenza – veri e propri operai a chiamata del sapere – è uno degli aspetti più paradossali, e assieme uno dei più nascosti, di un assetto sociale ingiusto e contraddittorio. Nella produzione post-industriale – si dice – i modelli economici si reggono sulla creazione immateriale di valore economico reale.
Ma di quale economia della conoscenza possiamo parlare quando il sistema scolastico si regge su un utilizzo ormai strutturale di supplenti che cambiano luogo di lavoro ogni anno, e spesso più di una volta all’anno? A quale possibilità di sviluppo ci riferiamo quando migliaia di corsi universitari, più o meno fondamentali, sono adati a studiosi che non hanno nemmeno i mezzi per condurli in condizioni dignitose?
Forse la mobilitazione dei precari della scuola e della ricerca è nata e sta cercando faticosamente di svilupparsi proprio per questo: per definire ciò che essi (non) sono, per illuminare la loro condizione, per dare voce alle loro aspirazioni. Si tratta di una mobilitazione che non richiede nessuno sguardo pietistico o compassionevole, ma pretende di aprire una discussione aperta sul ruolo e sul futuro dell’istruzione, della ricerca, della cultura in un paese in cui c’è il rischio che si perda ogni gusto a essere istruiti.

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l’università di udine organizza una serie di incontri sulla sostenibilità energetica, ambientale e alimentare
qui il programma completo

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