1
in questi giorni ascolto poca musica
la tensione mi riduce al silenzio
così niente scalette
provo piuttosto ad organizzarmi l’ennesimo portfolio
riscrivo il curriculum, spedisco mail a destra e sinistra

routine della disoccupazione

2
passare in poche ore dall’estate al pieno autunno è stato come uno schiaffo
ci sono ancora i costumi da bagno nella borsa da spiaggia e nell’armadio stoffe impalpabili convivono con le lane pesanti dei cappotti ormai necessari / eppure dovresti amarli questi contrasti così vivi – assomigliano da vicino a quel tuo strano umore così instabile, che si altera all’improvviso ribaltando i toni dei pensieri /
la frutta non è più la stessa sui banchi del negozio, le castagne al posto delle angurie – i ricordi improvvisi di quei carretti che vendevano i marroni ad ogni angolo della città conformano l’autunno, e lo confermano / è la temperatura dell’aria che a volte trattiene più memorie della luce, e ne riconosci gli effetti sulla fisiologia: quel dolore acuto nelle orecchie mentre pedali la mattina presto, o gli occhi che con il clima rigido si riempiono di lacrime improvvise nonostante gli occhiali / ed era un paio di giorni prima che al sole dovevi startene in canottiera perché ancora bruciava, e tenevi la mano nell’acqua e nuotavi e ti scurivi la pelle sdraiata su uno scoglio caldo come una lucertola beata /

3
scrivi di tutto questo per attenuare il ricordo di una piazza triste, la scena deprimente delle solite facce che si ripetono le cose tra loro stesse come un’eco / non hai pazienza e non sai dove mettere le mani – non sai a chi chiedere – sembrano tutti normalmente intenti nelle manifestazioni di sempre, con gli stessi striscioni come se nulla fosse peggiorato, e si trattasse di uno dei soliti scioperi di cui ormai il governo non si accorge nemmeno / poi tornano a casa, danno da mangiare ai figli, guardano la televisione, e ogni volta mi chiedo dove siano quelli che il lavoro non ce l’hanno, quelli che la fabbrica li ha lasciati a casa e che da mangiare oggi si e domani forse / perché non protestano gli stranieri per esempio, per i loro compagni che tutta l’estate hanno compiuto un andirivieni incerto e spesso mortale sui barconi? perché non ci sono i cassaintegrati che dovrebbero essere incazzati come iene dato che le fabbriche delocalizzano e chiudono i battenti una dopo l’altra?
è questa immobilità polverosa che vorrei saper raccogliere con le parole, perché in fondo a guardarla si tratta di una piazza normale in un giorno normale di una qualsiasi città di mezza taglia: i banchetti del mercato hanno appena smontato le tende, ed arriviamo noi con i cartelli ritinteggiati e qualche gazebo – c’è anche una grande tepee indiana issata dai no-tav / gli anarchici invece hanno portato un sacco di cose buone da mangiare, più o meno consapevoli hanno azzeccato il senso, la direzione verso cui si dovrebbe camminare: innescare piccole miccie comunitarie, coinvolgere il corpo ed i cinque sensi, creare legami tra molecole, mescolare ingredienti per ottenere del nuovo /
intanto, a pochi metri di distanza dalle focacce anarchiche, sul vecchio pozzo di piazza XX settembre continuano stancamente gli interventi e rimangono ad ascoltare gli ultimi pochi, un capannello di resistenti che si aggrappano alla bava di illogica speranza che esce dal filo del microfono / insomma, il comune ci ha messi nella “zona giochi” per lasciarci sfogare, e noi educati e obbedienti restiamo a cincischiare mentre il mondo non cambia e la città tantomeno / a pochi metri di distanza c’è tutto lo struscio del sabato pomeriggio – approfittano delle ultime giornate di sole prima di novembre e non si accorgono nemmeno che ci sia qualcosa di diverso a portata di sguardo /
e forse hanno ragione, perché in effetti, da questo lato della piazza non c’è proprio niente di diverso

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poco fa mi viene in mente quella ragazza, giovane e così esagitata da causarmi una specie di fastidio – con indosso la maglietta degli indignados disegnata a mano con i pennelli, batteva le mani tutta esaltata e incitava a gran voce i partecipanti / poi l’ho osservata, dietro al pozzo degli oratori – nei momenti di pausa si è preoccupata durante l’intero pomeriggio di raccogliere ogni minima cartaccia abbandonata in giro dalle persone e di riporla in un sacco nero, per lasciare la piazza in ordine /
è il ritratto che preferisco conservare di una giornata non certo all’altezza delle aspettative, in risposta a coloro che pensano che dietro il luogo comune di un nome (per giunta nemmeno italiano) ci siano soltanto altri luoghi comuni / capita invece che si tratti di generose e disinteressate forme di civiltà, ed è su quelle che dobbiamo investire

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